4.2.14

Dirigenti pubblici pigliatutto. Un'altra malattia della Pubblica Amministrazione

Alla fine il dottor Mastrapasqua si è dimesso.
Non è stato semplice ottenere che l'ex Presidente dell'Inps, detto anche "Mr. 25 poltrone", lasciasse l'incarico. Mastrapasqua dev'essere un tipo molto determinato, uno che, ad esempio, non si ferma di fronte ad una condanna per aver ottenuto la laurea fraudolentemente.
Certo, è stato riabilitato, come ci tiene a sottolineare, dal Tribunale di Sorveglianza. E la riabilitazione dev'essere stata davvero convincente per lo Stato italiano, che non sapeva più cos'altro fargli fare. 25 incarichi, guadagna circa 1 milione e 300.000 euro all'anno, più di 3 volte le prebende di Barack Obama, per dire. Non voglio neanche entrare nelle vicende giudiziarie in cui da ultimo è stato coinvolto il dott. Mastrapasqua. Mi preme, invece, approfondire un altro aspetto.
Non è la prima volta, in Italia, che la questione dei doppi incarichi per i manager pubblici viene alla ribalta. Nel 2008 Antonello Caporale, attualmente al Fatto quotidiano, dalle pagine di Repubblica sollevò il caso di Francesco Verbaro, incaricato multiplo all'epoca a capo del Dipartimento della Funzione Pubblica (ministro era Brunetta).
Roberto Perotti e Filippo Teoldi sul sito lavoce.info hanno analiticamente elencato leretribuzioni dei dirigenti pubblici, dopo che qualche giorno prima lo stesso Perotti aveva dimostrato la sproporzione tra le somme pagate in Italia e nel Regno Unito. Dirigentisuperpagati, dunque, talmente bravi da ricoprire spesso incarichi multipli. Tutto ciò dovrebbe essere sintomo di uno Stato capace di distinguere i meritevoli dagli altri, uno Stato in grado di premiare chi porta risultati.
E invece no. D'accordo, ora assistiamo al solito tiro al piccione, ma dai commenti di questi giorni scopriamo che già la ministra Fornero avrebbe voluto sostituire Mastrapasqua, manon ci riuscì a causa di resistenze (a proposito professoressa Fornero, forse sarebbe il caso di essere un po' più chiara: ma chi è che oppose resistenza? Detta così sembra che la colpa sia dei soliti poteri forti, un po' complottista come teoria) e scopriamo anche che la gestione dell'INPS non è proprio da incorniciare.
E allora, ci chiediamo, come funziona? Un dirigente dal passato non proprio cristallino, che il Ministero voleva sostituire già 2 anni fa, la cui gestione è in perdita, perché continua ad accumulare incarichi pubblici?
E come si concilia tutto ciò con una pubblica amministrazione assolutamente incapace di premiare il merito tra i propri ranghi, tanto che a più di 4 anni dal d.lgs. 150/09 (nonostante l'ex Ministro Brunetta si vantasse) assolutamente niente è stato fatto nella direzione della meritocrazia e, anzi, vi sono vistosi segnali di esplicita retromarcia?
In tutto questo, lo si noti, il problema delle responsabilità non è stato tenuto in nessuna considerazione, né dalla politica (che si è affrettata a chiedere le dimissioni di Mastrapasqua da Presidente dell'INPS, ma niente risulta detto sugli altri 24 incarichi), né dai media. Nessuno, ad esempio, è andato a chiedere conto ai responsabili delle nomine. Nessuno che abbia chiesto al responsabile della venticinquesima nomina: ma scusi, secondo lei dove lo trovava Mastrapasqua il tempo per dedicarsi anche a questo incarico? E ora che il nodo è venuto al pettine, non sarebbe il caso di chiedere conto dei risultati ottenuti in quei 24 incarichi?
Il Jobs Act presentato da Matteo Renzi qualche settimana fa presentava anche un passaggio sull'abolizione dei dirigenti pubblici di ruolo. Il segretario del PD è stato impegnato nella definizione della legge elettorale e, quindi, la cosa è passata un po' in secondo piano. Spero che il discorso venga ripreso presto e che sulla dirigenza pubblica si faccia un discorso serio a proposito del merito e dell'accountability, che vengano finalmente proposte norme concrete sulla trasparenza e sulla corruzione (la Commissione Europea ci ha appena, per l'ennesima volta, bacchettato sul tema).
Una Pubblica Amministrazione efficace e trasparente è condizione imprescindibile per ridare competitività all'Italia. Il Disegno di Legge sui doppi incarichi di Presidenti ed Amministratori degli Enti Pubblici Nazionali è cosa giusta, ma assolutamente insufficiente a risolvere una questione che è di sistema.

L'Electrolux non è l'Italia. Non aspetta

Al di là delle esternazioni sulla irricevibilità del piano presentato dalla Electrolux e delle dichiarazioni altalenanti con cui il Ministro Zanonato ci aggiorna sul tavolo instaurato con l'azienda, ci sono alcune considerazioni che vanno fatte e che non riguardano specificamente questa crisi.
Certo, considerando il numero di lavoratori occupati dalla Electrolux, la politica fa benissimo ad occuparsi del caso, a trattare per cercare una soluzione che salvaguardi quanto più possibile l'occupazione e la retribuzione dei lavoratori, ma l'impressione è che questa trattativa, come tante altre alle quali abbiamo assistito negli ultimi anni, potrà rallentare ma non cambiare le scelte strategiche dell'impresa.
Electrolux negli ultimi 10 anni ha aperto o ampliato stabilimenti in Polonia, Ungheria, Messico, Tailandia, Cina e Russia. E la chiusura degli insediamenti nei paesi dell'Europa Occidentale non è una novità di questi giorni. È scritto chiaramente nel lororapporto di sostenibilità del 2004, a pagina 10:
Mentre un mercato sempre più competitivo obbliga Electrolux a ridurre il numero di stabilimenti in alcuni Paesi, ci proponiamo di gestire responsabilmente l'impatto di questi cambiamenti sui dipendenti e sulle comunità.
E l'Electrolux non è l'Italia, non può aspettare all'infinito le nostre riforme. Un'impresa non si lascia ipnotizzare dalle promesse ventennali, non si può ingannare all'infinito. In un articolo su Repubblica intitolato sinistramente "La fretta cattiva consigliera", Vincenzo Visco indicò, come primo punto della necessaria riforma del sistema fiscale italiano, la riduzione del costo del lavoro. Era il 1994. Sono passati 20 anni e la questione è ancora irrisolta.
Ora, per affrontare le, purtroppo, tante crisi aziendali che già ci sono o stanno per palesarsi (si parla di centinaia di vertenze e di oltre 120.000 lavoratori coinvolti
possiamo continuare a temporeggiare, come abbiamo fatto sinora. Magari gridando allo scandalo se un'impresa ci fa sapere che il differenziale tra i costi che deve sostenere in Italia e quelli polacchi è troppo alto. Oppure possiamo finalmente intraprendere la strada delle riforme. Sul tavolo c'è già il Jobs act presentato da Renzi. Non è la panacea di tutti i nostri mali, ma è un inizio.
Certo, forse avremmo bisogno di un governo più autorevole, più deciso. Ma la situazione è quella che è e dopo l'accordo raggiunto sulla legge elettorale, paradossalmente le elezioni si allontanano. C'è, dunque, il tempo ed il modo per intervenire sulle grandi questioni che riguardano la semplificazione, la riduzione del costo del lavoro e, soprattutto, le scelte di politica industriale che da troppo tempo mancano.
Politicamente, il governo Letta si trova davanti ad una strada obbligata. Secondo gli ultimi sondaggi, più di 6 italiani su 10 hanno un giudizio negativo sull'operato della compagine di governo. L'interventismo di Renzi ed il tentativo di riconquistare la scena politica da parte di Berlusconi rischiano di far tramontare il governo voluto fortemente, neanche un anno fa, dal Presidente Napolitano per affrontare le emergenze del Paese. Anche tutto ciò potrebbe giocare a favore delle riforme. Letta e Alfano si giocano tutto nei prossimi mesi. Speriamo che non sia l'ennesima occasione mancata.

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