14.3.14

La differenza tra Berlusconi e Renzi è la data


Dal giorno della conferenza stampa di Matteo Renzi, quella con le slide che illustravano i provvedimenti che il Presidente del Consiglio stava annunciando, non si contano i paragoni con Silvio Berlusconi.
Ho già scritto in passato di quanto consideri incredibile l'ossessione berlusconiana che opprime una parte degli italiani, ma ciò che accade in questi giorni è davvero stupefacente.
D'accordo, siccome siamo tutti impressionati dalla capacità comunicativa di Renzi, quando andiamo a cercare termini di paragone il primo che ci troviamo davanti è Berlusconi. Certamente è improponibile il paragone con gli ex segretari e/o candidati premier del PD/DS/PDS (Bersani, Franceschini, Fassino, D'Alema, Rutelli, Prodi, forse l'unico che aveva un po' di carisma in più era Veltroni).
Ma veramente Berlusconi rappresenta un termine di paragone per Matteo Renzi?
Io credo davvero di no.
Berlusconi è un imprenditore (chiacchierato), i cui rapporti con la politica erano sostanzialmente improntati al chiedere favori in cambio di finanziamenti, che un bel giorno decide di "scendere in campo", schierare i propri dipendenti, stravolgere le obsolete forme di comunicazione politica. Una volta ottenuto il successo alle elezioni, non si può dire che Berlusconi abbia brillato come governante. Il suo primo governo è durato pochissimo, gli altri sono stati caratterizzati da coalizioni che si sfaldavano, scandali, gaffes, macchiette, ma davvero pochissimi risultati. Tant'è che nei 20 anni dalla discesa in campo (che ricorrono tra pochi giorni) il Paese è declinato sempre di più. Non solo per colpa di Berlusconi ma soprattutto per colpa di Berlusconi.
Renzi ha una storia totalmente diversa, tutta politica. Non è nuovo rispetto ai politici, casomai è un politico nuovo. Diventa Presidente della Provincia e poi Sindaco di Firenze, inventa la Leopolda, lancia la sfida al ceto politico del PD, prima perde, poi vince, poi diventa Presidente del Consiglio.
Non ha truppe da schierare, non si è preso il partito a suon di tessere, non ha fondato una corrente. 
Possiamo dire che ha vinto con e grazie alle sue idee, soprattutto quella della rottamazione, sfruttando il sentimento di stanchezza che il ceto politico ha suscitato in una società immobile da troppo tempo, nella quale una generazione, quella degli attuali trenta/quarantenni, è stata condannata a portare il peso dei fallimenti della generazione precedente.
Fin qui, quindi, nessuna analogia.
Sui contenuti? Berlusconi si è imposto con il nuovo miracolo italiano, la promessa di uno Stato liberale, la fine dei lacci e lacciuoli, la paura del nemico comunista, il mito dell'impresa contro lo spauracchio dello stato padrone.
Renzi parla di innovazione, di scuola, di efficienza, chiama gli elettori per nome e si fa chiamare per nome, rompe alcune liturgie, twitta.
Berlusconi faceva promesse vaghe e immaginifiche: meno tasse per tutti, nessuno rimanga indietro. Aveva una visione manichea, l'amore trionferà sull'odio e le faceva in campagna elettorale.
Renzi mette le date di scadenza alle cose che dice mentre è al governo: legge elettorale entro il 28 febbraio, 80 euro a chi guadagna meno di 1500 euro netti entro in busta paga il 27 maggio, auto blu all'asta entro il 26 marzo. 
Il libro dei sogni contro il file excel.
Il contratto con gli italiani siglato con la penna d'oro dietro una scrivania di mogano fatta portare artificialmente in uno studio televisivo, contro una conferenza stampa con le slides.

Rinfacciare a Berlusconi i suoi fallimenti era difficilissimo, diceva tante cose, senza una scadenza, il fact checking era impossibile.
Renzi ci ha dato scadenze a 20 giorni, a 30 giorni. Prima del voto per le europee di Maggio sapremo se erano fandonie o verità quelle che ci ha detto l'altro giorno.
Poi c'è da fare un discorso sull'accountability. Per Berlusconi la colpa delle cose che non gli riuscivano era sempre degli altri. I giudici comunisti, soprattutto, ma anche gli alleati recalcitranti, il Capo dello Stato, la crisi mondiale, il terremoto. Coltivava il mito della sua invincibilità e per perpetrarlo era disposto a trovare sempre negli altri la responsabilità dei fallimenti.
Renzi si prende tutte le responsabilità. Se non ci sono i soldi in busta paga a maggio, ha detto, sono un buffone. Nel discorso della sconfitta delle primarie 2012 non se l'è presa con le regole assurde che gli avevano imposto o, come molti a sinistra, con gli elettori che non l'avevano capito. Disse: la responsabilità è mia. Non si presenta, quindi, come l'invincibile, ma come uno che quando fallisce lo dice e se ne prende la colpa. Tra questi due atteggiamenti c'è una differenza mastodontica.

Un'ultima considerazione sulle date:
Molti si interrogano sull'utilità che può avere annunciare un provvedimento prima di averlo fatto, specialmente con scadenze così ravvicinate. La critica che ho letto di più, dopo la conferenza stampa, è "solo annunci, niente fatti".
Ci ho pensato ed io la vedo così: Renzi con le scadenze ottiene due effetti. Il primo: gli elettori hanno un dato da verificare, se lui fa quello che dice cresce la sua affidabilità.
Il secondo: Renzi è un Sindaco. Anche se ora è il Presidente del Consiglio, si sente un Sindaco, è abituato ad avere a che fare con gli uffici pubblici e considera la burocrazia dei ministeri nient'altro che la burocrazia di un comune in scala gigante. Chi ha lavorato in una pubblica amministrazione lo sa: non c'è niente che spinga gli uffici a lavorare come una data di scadenza, indispensabile per ottenere un risultato. Renzi applica lo stesso metodo anche con il Parlamento. Da Vespa ha detto: avevo annunciato che avremmo approvato la legge elettorale entro il 28 febbraio, l'abbiamo fatto il 12 marzo, ma se io non avessi annunciato la data del 28 febbraio non ce l'avremmo fatta nemmeno entro il 2014.
Ecco, parafrasando la fase di Walt Disney che Renzi ogni tanto cita, la differenza tra Berlusconi e Renzi è la data. Ah, poi ci sarebbe un'altra piccola differenza. Renzi è un uomo di centrosinistra. Berlusconi è un uomo di destra che si è finto di centro per convenienza politica.

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