4.2.14

L'Electrolux non è l'Italia. Non aspetta

Al di là delle esternazioni sulla irricevibilità del piano presentato dalla Electrolux e delle dichiarazioni altalenanti con cui il Ministro Zanonato ci aggiorna sul tavolo instaurato con l'azienda, ci sono alcune considerazioni che vanno fatte e che non riguardano specificamente questa crisi.
Certo, considerando il numero di lavoratori occupati dalla Electrolux, la politica fa benissimo ad occuparsi del caso, a trattare per cercare una soluzione che salvaguardi quanto più possibile l'occupazione e la retribuzione dei lavoratori, ma l'impressione è che questa trattativa, come tante altre alle quali abbiamo assistito negli ultimi anni, potrà rallentare ma non cambiare le scelte strategiche dell'impresa.
Electrolux negli ultimi 10 anni ha aperto o ampliato stabilimenti in Polonia, Ungheria, Messico, Tailandia, Cina e Russia. E la chiusura degli insediamenti nei paesi dell'Europa Occidentale non è una novità di questi giorni. È scritto chiaramente nel lororapporto di sostenibilità del 2004, a pagina 10:
Mentre un mercato sempre più competitivo obbliga Electrolux a ridurre il numero di stabilimenti in alcuni Paesi, ci proponiamo di gestire responsabilmente l'impatto di questi cambiamenti sui dipendenti e sulle comunità.
E l'Electrolux non è l'Italia, non può aspettare all'infinito le nostre riforme. Un'impresa non si lascia ipnotizzare dalle promesse ventennali, non si può ingannare all'infinito. In un articolo su Repubblica intitolato sinistramente "La fretta cattiva consigliera", Vincenzo Visco indicò, come primo punto della necessaria riforma del sistema fiscale italiano, la riduzione del costo del lavoro. Era il 1994. Sono passati 20 anni e la questione è ancora irrisolta.
Ora, per affrontare le, purtroppo, tante crisi aziendali che già ci sono o stanno per palesarsi (si parla di centinaia di vertenze e di oltre 120.000 lavoratori coinvolti
possiamo continuare a temporeggiare, come abbiamo fatto sinora. Magari gridando allo scandalo se un'impresa ci fa sapere che il differenziale tra i costi che deve sostenere in Italia e quelli polacchi è troppo alto. Oppure possiamo finalmente intraprendere la strada delle riforme. Sul tavolo c'è già il Jobs act presentato da Renzi. Non è la panacea di tutti i nostri mali, ma è un inizio.
Certo, forse avremmo bisogno di un governo più autorevole, più deciso. Ma la situazione è quella che è e dopo l'accordo raggiunto sulla legge elettorale, paradossalmente le elezioni si allontanano. C'è, dunque, il tempo ed il modo per intervenire sulle grandi questioni che riguardano la semplificazione, la riduzione del costo del lavoro e, soprattutto, le scelte di politica industriale che da troppo tempo mancano.
Politicamente, il governo Letta si trova davanti ad una strada obbligata. Secondo gli ultimi sondaggi, più di 6 italiani su 10 hanno un giudizio negativo sull'operato della compagine di governo. L'interventismo di Renzi ed il tentativo di riconquistare la scena politica da parte di Berlusconi rischiano di far tramontare il governo voluto fortemente, neanche un anno fa, dal Presidente Napolitano per affrontare le emergenze del Paese. Anche tutto ciò potrebbe giocare a favore delle riforme. Letta e Alfano si giocano tutto nei prossimi mesi. Speriamo che non sia l'ennesima occasione mancata.

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