30.1.14

Il cavallo di Caligola in Parlamento ci va con qualunque sistema

Pubblicato su Huffington Post il 28 gennaio 2014
Da quando Matteo Renzi ha incontrato Berlusconi al Nazareno ed ha chiuso l'accordo sulla nuova legge elettorale si è scatenato un dibattito partecipatissimo. Da popolo di commissari tecnici per eccellenza ci siamo trasformati in popolo di costituzionalisti ed esperti di sistemi elettorali.
Il tema che, più degli altri, ha scosso le coscienze è quello delle preferenze. Berlusconi non le vuole in nessun modo. Il PD che fino a ieri non era disposto ad accettarle a nessun costo è ora spaccato e, precisamente, il neo segretario dice di essere in teoria per le preferenze ma di aver accettato i collegi plurinominali come compromesso mentre la minoranza si è scoperta improvvisamente innamorata del voto personale (su YouTube gira questo video sarcastico del quale, tuttavia, colpiscono i toni perentori contro le preferenze utilizzati dalla vecchia dirigenza). I partiti più piccoli, dal Nuovo Centro Destra all'UDC si erano da tempo schierati per le preferenze e ora tengono il punto.
Ma è davvero questo il nocciolo della questione? Davvero all'improvviso il sistema attraverso il quale si seleziona un deputato è sintomo di maggiore o meno democrazia?
Si dirà che per anni il porcellum è stato (a parole) criticato da tutti per essere un sistema che "non consente ai cittadini di scegliere chi mandare in Parlamento". La considerazione è senz'altro giusta, ma corrisponde al vero? I partiti hanno realmente utilizzato il porcellum per mandare in Parlamento chiunque, ricordando il famoso aneddoto di Caligola e del suo Cavallo potenziale senatore?
Io non la penso così. Vediamo perché.
I numeri.
Senza troppi sforzi, sul sito della Camera sono disponibili le statistiche relative ai deputati delle ultime 4 legislature prima di quella attuale. Nelle prime due si è votato con il mattarellum (1996 e 2001), nelle ultime due con il porcellum (2006 e 2008). Se andiamo a confrontare il tasso di ricambio, ovvero la percentuale di neo deputati, notiamo dati assolutamente omogenei: gli eletti per la prima volta alla Camera sono stati 281 nel 1996, 285 nel 2001, 300 nel 2006 e 282 nel 2008. Secondo il fan club delle preferenze i partiti attraverso il sistema delle liste bloccate avrebbero tolto ai cittadini il diritto di scegliere. I numeri ci dicono che su 4 legislature, in un intervallo di 12 anni, non solo il dato relativo ai deputati neoeletti è costante, ma è del tutto evidente che i partiti non hanno approfittato del porcellum per stravolgere il Parlamento.
La memoria.
Io ero piuttosto giovane, ma il movimento referendario del 1991 e del 1993 me lo ricordo bene. Per l'abolizione della preferenza multipla votarono quasi 27 milioni di italiani. Il 95,6% dei votanti. Fu un vero e proprio plebiscito ed è bene ricordare che tra i referendum per i quali il movimento guidato da Mario Segni raccolse le firme c'era anche quello per rendere uninominale il sistema con il quale venivano eletti i senatori. Referendum che fu riproposto 2 anni più tardi ed al quale gli italiani risposero con un assordante coro di quasi 29 milioni di sì. Fu a seguito di quei referendum che venne approvato il mattarellum, sistema maggioritario con riserva proporzionale, e non furono in pochi a criticarlo proprio per il mantenimento di una quota proporzionale. Tant'è vero che nel 1999 ci si riprovò. Ancora attraverso un referendum si tentò di abolire definitivamente la quota proporzionale del mattarellum, per renderlo totalmente maggioritario. L'obiettivo fu letteralmente sfiorato. L'affluenza si fermò al 49,6% ed il proporzionale restò in vita, nonostante gli oltre 21 milioni di sì. Dunque, ancora nel 1999, appena una manciata di anni fa, un vasto movimento di opinione vedeva nel superamento del sistema proporzionale e del meccanismo delle preferenze un elemento di modernità e di pulizia (nel 1999 lo schieramento referendario era guidato da Occhetto e Di Pietro).
I collegi sicuri, i nominati ed i paracadutati.
In molti, tra quelli che criticano l'Italicum, asseriscono che il collegio plurinominale, attraverso il listino bloccato, ancorché corto, non consentirebbe realmente ai cittadini la piena libertà di voto. Ma il mattarellum era davvero un sistema che consentiva ai cittadini di scegliere i propri rappresentanti? In realtà, mattarellum vigente, si parlava spesso di collegi sicuri, incerti e perdenti, ovvero della suddivisione dei collegi elettorali in base all'orientamento storico dimostrato alle elezioni precedenti. Le possibilità di essere eletti per uno schieramento in alcuni collegi rasentava la sicurezza, come dimostrarono i casi di Antonio Di Pietro eletto nel Mugello e di Bobo Craxi eletto a Trapani.
Si parlava in questi casi di paracadutati, ovvero di candidature totalmente estranee ai territori, calate dall'alto per tutelare qualche pezzo da 90 della nomenclatura o, sovente, per assicurare il seggio sicuro a qualche alleato altrimenti recalcitrante. Andando a cercare tra gli articoli di cronaca dell'epoca mattarellum si scopre che, ad esempio, l'Ulivo nel 2001 considerava sicuri "solo" 118 collegi. Alle elezioni il centrosinistra avrebbe conquistato 183 seggi, compresi quelli ottenuti con il riparto della quota proporzionale a seguito dello scorporo. Il che significa che la dirigenza dei partiti dell'Ulivo, all'epoca, nominò quasi completamente la propria rappresentanza in Parlamento. Roberto Gritti in "Frammenti di Seconda Repubblica" (Nuova Cultura Editore) con uno studio molto approfondito dimostra come, a seguito dell'alleanza di centro destra che includeva la Lega, nel Nord Italia nel 1994 i collegi considerati "sicuri" erano addirittura il 79% del totale. Se, anche in questo caso, aggiungiamo la quota di parlamentari che venivano recuperati con il proporzionale (lo ricordiamo, con un listino bloccato), arriviamo alla conclusione che quasi il 100% dei deputati di Centro destra del 1994 furono letteralmente cooptati dalle segreterie di Lega e Forza Italia. Con buona pace del diritto di scegliere dei cittadini.
Dagli ai partiti.
Dunque, l'impressione è che l'opinione pubblica da tangentopoli in poi si orienti semplicemente in maniera antitetica ai partiti più rappresentativi. Maggioritari quando la DC era proporzionalista, anti preferenze quando Craxi invitava ad andare al mare, a favore delle preferenze e tendenzialmente proporzionalisti oggi che PD e Forza Italia hanno trovato un accordo su una legge maggioritaria che non prevede le preferenze.
Non c'entra niente il diritto di scegliere i propri rappresentanti che, come abbiamo visto sopra, è sempre stato (e sempre sarà, com'è giusto che sia in un sistema di democrazia indiretta) saldamente nelle mani dei partiti.
C'entra, piuttosto, una certa riottosità italiana al cambiamento, specialmente quando questo sembra a portata di mano. Gli indignados nostrani, i cui vizi ha magistralmente descritto Sergio Fabbrini sul Sole 24 ore, sembrano muoversi come un pendolo, oscillando da una posizione all'altra a seconda di come si muovono i partiti maggiormente rappresentativi o, per dirla come si usa oggi, la casta.
Questo ci conduce al reale nocciolo della questione. Il rapporto tra governanti e governati, la selezione delle classi dirigenti e la loro accountability. Sarebbe forse il caso di smettere di cercare di impedire a Caligola di nominare senatore il proprio cavallo e di cominciare a chiedersi come individuare, riconoscere e sanzionare le responsabilità del cavallo e, di conseguenza, di Caligola.

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