24.11.14

Che ci dice il voto del 23 novembre (se fossi in Salvini non esulterei tanto)


Su ogni altra cosa, il dato dell’astensione.
Io non sono tra quelli che si stracciano le vesti per la scarsa affluenza. Penso che, ad esempio, la democrazia a New York o a Londra non sia in pericolo, anche se a votare per il sindaco ci va meno di un elettore su 3, ma il raffronto con la percentuale di votanti del 2010 deve comunque far riflettere, se non in termini di “allarme”, almeno in termini di rappresentanza.
In Emilia Romagna un milione di elettori non sono andati a votare. In Calabria il calo è stato meno netto.
Premettiamo che parliamo di due regioni in cui si è votato anticipatamente perché i governatori uscenti si sono dimessi per vicende giudiziarie che hanno coinvolto anche i consiglieri, il che sicuramente ha costituito un forte elemento deterrente.
Tuttavia l’affluenza alle elezioni appena tenute (38% in Emilia Romagna e 44% in Calabria) non è tanto distante dal dato delle ultime elezioni regionali in Sardegna (52%), Basilicata (47,2%), Friuli Venezia Giulia (50,5%). Fanno eccezione, ovviamente, le regionali in Piemonte e Lombardia, in cui si è votato lo stesso giorno delle europee 2014 e delle politiche 2013.
Ho notato che le prime reazioni di Salvini, seguite a ruota da alcuni analisti, enfatizzano il dato della Lega.
Io non sono d’accordo.
La coalizione di centrodestra in Emilia Romagna riesce a far peggio del 2010, nonostante i problemi che ha avuto il PD.
Fabbri (della Lega) non arriva nemmeno al 30%. 4 anni fa Anna Maria Bernini aveva preso quasi 7 punti percentuali in più.
A livello di coalizione va ancora peggio, il centrodestra nel 2010 aveva raccolto il 38,3%; nel 2014 si ferma al 29,7%. Anche il numero di consiglieri è inferiore: 15 nel 2010, 11 nel 2014.
Certo, il dato della Lega Nord è cresciuto (19,4% contro 13,7%) ma a completo discapito dell’alleato maggiore: Forza Italia crolla all’8,4% partendo dal 24,6% del PDL nel 2010.
Complessivamente il centrodestra restringe il proprio recinto e tutto sommato il dato appare una sconfitta abbastanza cocente, soprattutto se rapportato al momento di estrema difficoltà del PD.
Credo si possa concludere che nel momento di crisi del PD a livello regionale gli elettori dell’Emilia Romagna non abbiano considerato la Lega ed il centrodestra un’alternativa valida, al punto da preferire di rimanere a casa.
Molto diversamente sono andate le cose in Calabria, dove lo scandalo che ha coinvolto il centrodestra ha premiato il centrosinistra.
Oliverio prende in percentuale il doppio di Loiero (61,3% contro 32,2%). Il centrodestra crolla dal 57,8% al 23,5%. L’astensione c’è, ma meno che in Emilia Romagna. Il PD guadagna l’8% e diventa il primo partito, nonostante la presenza di 8 liste a sostegno del candidato presidente.
In attesa di vedere i flussi elettorali direi che i due schieramenti si trovano davanti a problemi diversi. Il PD deve riuscire a convincere anche in assenza della polarizzazione dovuta alla presenza di un avversario forte (o presunto tale). Il centrodestra, invece, deve profondamente rinnovarsi nella consapevolezza che un candidato della Lega, nonostante il clamore mediatico che Salvini ha saputo suscitare in questi mesi, rimane comunque inviso all’elettorato moderato, che preferisce, al limite, astenersi piuttosto che votarlo.
Discorso a parte sul M5S. Va bene (13%) in Emilia Romagna, maluccio (4,9%) in Calabria.

Nel 2010 in Emilia Romagna c’era stato il primo squillo di trombe, con Favia al 7%. In teoria sarebbe un incremento di tutto rispetto. In pratica, stante la politica della non-alleanza del M5S, risultano voti non spendibili. Il nodo politico da sciogliere per i grillini sta tutto qui.

21.11.14

La propaganda, la valigia (blu) e il pacco.



Ieri mattina il presidente del consiglio ha twittato così


Sul blog Valigia Blu, che seguo sempre, anche se non amo interloquire con loro su twitter a causa del tono un po' da maestrina che spesso e volentieri assumono, è comparso questo post in cui, sostanzialmente, si accusa il presidente del consiglio di aver diffuso un dato falso.
Il ragionamento è che se come punto di partenza si assume un mese diverso da Aprile (quello che ha assunto Renzi) il dato cambia (wow). 
Il post prende a conforto della propria tesi due fonti.
Il sito "pagella politica" che fa il fact checking delle singole affermazioni dei politici e un piccolo trafiletto del Fatto Quotidiano

Si tratta di due fonti molto diverse. Pagella politica fa una disamina abbastanza neutra della dichiarazione di Matteo Renzi anche se si perde nel finale. Infatti leggiamo "Aver preso aprile come punto di partenza, quindi, rende sproporzionato il risultato positivo, dal momento che quel mese ha registrato l'occupazione più bassa del periodo del governo Renzi. La scelta di aprile inoltre, non si giustifica nemmeno da un punto di vista di azione legislativa, visto che il decreto Poletti, primo atto sul lavoro del governo Renzi, è entrato in vigore a fine marzo; eventuali effetti (qualora ce ne fossero stati) sarebbero quindi decorsi già a partire dal mese di aprile." Si tratta di un'affermazione che mi lascia un po' di stucco. Il Decreto Poletti è del 20 marzo. Essendo un decreto legge è entrato in vigore il giorno successivo, il 21 marzo. Ragionando per esclusione, quale sarebbe dovuto essere il mese di partenza giusto? Febbraio lo escluderei, visto che il governo si è insediato alla fine del mese. Marzo anche, visto che il primo provvedimento è stato preso a mese quasi finito. Aprile a quelli di valigia blu e pagella politica non va bene. Forse Maggio? Giugno? La verità è che la scelta di Aprile è la più razionale. E, d'altra parte, vorrei vedere cosa avrebbero detto su Valigia Blu se a Marzo 2014 ci fossero stati 250.000 nuovi posti di lavoro e Renzi se ne fosse assunto il merito. Il trafiletto del Fatto, invece, è pura propaganda. Dice che i nuovi posti sono 70.000 "grazie al calo degli inattivi". Cosa c'entri il calo degli inattivi con i nuovi posti non è dato saperlo. In realtà il calo degli inattivi significa che ci sono alcune persone che non cercavano lavoro che si sono messe a cercarlo. Infatti, al suddetto calo corrisponde un aumento dei disoccupati. Il Fatto continua inserendo i dati sulla cassa integrazione (che a sua volta non c'entra né con gli inattivi, né con i disoccupati, né con i nuovi posti di lavoro), inserisce il dato della disoccupazione senza spiegarlo e condisce il tutto con un dato sulla retribuzione e uno sulla presunta durata dei contratti, asserendo che ci sarebbero stati in un trimestre 400.000 contratti di un solo giorno.

Ho espresso alcune di queste mie remore all'autore del post il quale, con molta cortesia devo dire, mi ha linkato alcuni post, oltre a quelli già citati: uno sul blog "disordine dei sogni" e uno, per me un po' più attendibile, del sole24ore.
Io tenderei ad attenermi ai dati reali ed alle analisi degli esperti, come Meneghello sul Sole.
L'analisi è quella, non c'è propaganda nelle parole di Renzi il quale, tra l'altro, non nasconde in nessuna occasione la gravità della crisi economica ed occupazionale. Riferisce i dati dal mese di Aprile 2014 perché il primo provvedimento sul lavoro è datato 20 marzo 2014 e, ragionevolmente, ogni altro mese sarebbe una scelta assolutamente arbitraria ed illogica.
Quella che, invece, mi pare proprio propaganda è la disamina di Valigia Blu. 
La cosa mi stupisce, perché di solito sono meticolosi e precisi, a costo di sfociare nella prolissità. Nei fatti il post in questione, che vorrebbe essere un momento di verità, finisce per essere assimilabile al trafiletto del Fatto. Non me ne voglia l'autore Andrea Zitelli (che non conosco, che ringrazio ancora per le risposte sul suo blog e con il quale, anzi, mi scuso per aver citato nelle mie risposte i dati provvisori dell'occupazione, poi corretti dall'Istat e inseriti nelle serie storiche), ma post come questo rischiano di generare l'effetto "al lupo al lupo". A furia di dire che non è vero niente di quel che dice il presidente del consiglio, anche quando è vero come in questo caso, non si potrà con autorevolezza smascherare le bugie vere quando ci saranno. Stavolta, insomma, la valigia blu è stata un pacco, speriamo che torni presto valigia.

12.11.14

Da Líder máximo a fidanzatino tradito, la parabola discendente di Massimo D'Alema

Sorride, D'Alema, mentre pronuncia la sua ultima battuta su Renzi e Berlusconi. "Berlusconi si è talmente innamorato di Renzi che lo ha scelto come suo erede", dice.
Del sarcasmo caustico che lo ha reso celebre, negli anni '90, è rimasto, però, solo il tono. Manca completamente la capacità di intellegere la realtà.
Eppure alcune delle cose che Renzi, oggi, sta portando avanti erano state indicate come priorità proprio dall'ex Presidente del Consiglio.
La necessità di portare a compimento le riforme istituzionali in maniera condivisa, innanzitutto. Questione della quale D'Alema fece il proprio cavallo di battaglia durante la sua permanenza a Palazzo Chigi, anche se tutti sappiamo com'è andata a finire.
Qual è la differenza tra il patto del Nazareno e quello della Crostata? Anche allora Berlusconi si era invaghito del suo principale avversario?
Viene il sospetto che D'Alema lo pensi davvero, viste le parole da fidanzatino tradito che usa per descrivere l'attuale fase politica.
In realtà si tratta, molto più probabilmente, di umana gelosia.
Sì, perché l'uomo Massimo D'Alema, lo sappiamo, ha un'altissima considerazione di sé ed aveva in mente di passare alla storia come uno dei padri della patria. Il sogno nel cassetto era quello di diventare Presidente della Repubblica, ma pare proprio che, con Renzi Presidente del Consiglio e segretario del PD, il cassetto sia destinato a rimanere chiuso.
La rabbia, evidente, per la mortificazione delle proprie ambizioni dev'essersi fatta incontrollabile dal momento in cui è cominciato a circolare, per la successione a Napolitano, il nome di Walter Veltroni. Le quotazioni dell'eterno rivale in questo momento non sono altissime, ma è un nome che gira, un'ipotesi comunque plausibile. Per D'Alema ritrovarsi ad essere l'unico vero rottamato della vecchia sinistra dev'essere un dolore insopportabile, forse anche peggiore di quello che ha provato quando, per la carica di Alto rappresentante Ue per la politica estera, gli è stata preferita la giovanissima Federica Mogherini.
Solo così riesco a spiegarmi il motivo per il quale D'Alema scende sul personale, senza individuare ed analizzare i tratti di assoluta novità della attuale fase politica.
Liquidare come un episodio l'exploit elettorale del Partito Democratico e spiegare la possibilità, finalmente, che le riforme vadano in porto ricorrendo alla vulgata della similitudine tra Renzi e Berlusconi, al punto da alludere ad una corrispondenza di amorosi (politici) sensi tra i due, è una caduta di stile che non ci saremmo aspettati. Sentirlo discettare sui pericoli dell'intesa con Berlusconi sulla legge elettorale fa venire in mente il buon vecchio De André, quando diceva che la gente dà buoni consigli se non può dare cattivo esempio e fa emergere la vera paura dell'ex Líder máximo: che il giovane ed inesperto Renzi riesca dove D'Alema ha fallito.

3.10.14

I custodi della sinistra-sinistra a corto di idee e di simboli


Da quando Matteo Renzi è diventato segretario del PD e Presidente del Consiglio c'è una parte di ceto politico e di commentatori (temo molto meno tra gli elettori) che non si dà pace. 
In giro e sui social network mi capita spesso di ascoltare frasi del tipo "stiamo diventando come la destra", "il PD sta al 41% perché ha preso il posto di Forza Italia" e così via. Si sprecano i paragoni con la Democrazia Cristiana, si fa e si dice di tutto per dimostrare che il PD non è un partito di Sinistra. 
Tutto ciò, naturalmente, presuppone che la Sinistra, anzi, la Sinistra-sinistra sia qualcosa di ontologicamente esistente, di trascendentale. Una categoria alla quale alcune idee sono riconducibili, altre no.
Non voglio rispolverare qui vecchie letture (Bobbio), canzoni (Gaber) e poesie (Pasolini) che negli anni sono diventate citazioni irrinunciabili in ogni discussione sul tema e non ho neanche tanta voglia di affrontare il discorso seriamente, ma questa idea che ci siano i "custodi della Sinistra-sinistra" che stanno lì a mettere il visto oppure a negarlo su tutto è diventata una farsa.
Discutere dell'art. 18? 
Di destra. 
Dei precari? 
I precari vanno bene, ma non mettiamo in mezzo l'art. 18.
Ma il PD nel PSE è di sinistra vero? 
(qui nicchiano, ma badano a non darti troppa soddisfazione).
I custodi della Sinistra-sinistra, inoltre sono alla ricerca di leadership. E qui la faccenda diventa addirittura comica. Sì, perché mentre sulle idee ormai sembrano essersi messi tutti d'accordo (più spesa pubblica, magari una bella patrimoniale, comunque altre tasse) sulla leadership sono un po' allo sbando.
Tendono a prendere quel che c'è in giro. Che si chiami Piero Pelù, Fedez, Crozza o Della Valle, basta che dica quattro cose contro Renzi. L'outsourcing della leadership alla Grecia (vedi Tsipras) non pare aver dato i suoi frutti e, anzi, ha addirittura fatto finire sulla graticola, per becere questioni di soldi e poltrone, due custodi della Sinistra-sinistra come Maltese e Spinelli.
Io sono convinto che di una voce autorevole a Sinistra-sinistra ci sia bisogno, ma credo che dovrebbero concentrarsi più sulle idee e meno sul Masaniello di turno.





30.9.14

Il metodo Mineo


Oggi Pierluigi Bersani, in un duro intervento in Direzione Nazionale ha detto che contro chi non la pensa come il segretario non si deve usare il metodo Boffo.
Il riferimento, lo sappiamo tutti, è al dossier (poi rivelatosi fasullo) riferito all'ex Direttore dell'Avvenire sul quale i giornali di centrodestra montarono un caso che portò Boffo alle dimissioni.

Ma Renzi utilizza questi metodi nello scontro politico?
Io direi proprio di no. Ha una tendenza marcata alla polarizzazione, a rappresentare il bene contro il male, il nuovo contro il vecchio etc. Ma non ho mai sentito Matteo Renzi, né uno dei "renziani", alludere a dossier o notizie false.

Qualcuno, invece, a questa cosa del metodo Boffo ci ha creduto. Parlo di Corradino Mineo.
Dopo essere salito agli onori della cronaca per aver dato dell'autistico a Matteo Renzi (che giustamente l'ha costretto a scuse pubbliche nei confronti di chi soffre per quella malattia), l'ex direttore di Rai News ha forse cambiato stile?
Appena Bersani pronuncia Boffo, Mineo ha un sussulto:


non si toglie la dignità a chi la pensa diversamente, dice.
67 minuti dopo, però, deve avere un ripensamento, perché mentre in TV Pina Picierno esprime il suo punto di vista sulla riforma dell'art. 18, ecco che Mineo se n'esce con questo tweet:




Questo non è il metodo Boffo, è il metodo Mineo. E' un tweet uguale alla frase su Renzi autistico. Stavolta l'insulto, secondo lui, è calibrato meglio. Non c'è, deve aver pensato, una categoria che si possa sentire offesa. E invece, offendendo una parlamentare europea, votata alle recenti elezioni europee con più di 220.000 preferenze, Corradino offende la Direzione del suo Partito che l'ha voluta capolista e anche gli elettori del PD. Offende una comunità enorme di iscritti ed elettori e, naturalmente, offende la sua collega.
Ci rifletta Mineo. Spesso e volentieri riceve insulti sul web e se ne lamenta, ma se cercasse di utilizzare meno il metodo Mineo, forse su twitter ci sarebbe qualche insulto di meno. Uno di sicuro: il suo.

18.5.14

Mini recensione di "Mia figlia spiegata a mia figlia"


Sono fermamente convinto che la mia generazione sia stata costretta a reinventarsi il modo di stare al mondo. Siamo arrivati in una società in cui c'erano alcuni punti fermi inamovibili, in cui il posto di lavoro era fisso (appunto) e i ruoli in famiglia erano saldamente distinti tanto che, diciamolo, nemmeno il '68 era riuscito a scalfire più di tanto quel che "dovevano" fare i papà e le mamme.
A noi, invece, è toccata la crisi che, si sa, costringe, deprime, logora. Ma la crisi, innegabilmente, apre nuove strade. In questo sono fermamente d'accordo con Albert Einstein che diceva:
“Non possiamo pretendere che le cose cambino, se continuiamo a fare le stesse cose. La crisi è la più grande benedizione per le persone e le nazioni, perché la crisi porta progressi. La creatività nasce dall’angoscia come il giorno nasce dalla notte oscura. E' nella crisi che sorge l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi supera la crisi supera sé stesso senza essere superato"
(Albert Einstein, Il mondo come lo vedo io, Newton & Compton)

La deve pensare come Einstein anche Dario, o per lo meno si è trovato a dargli ragione, visto che in questo libro (LiberAria editore) ci racconta, in maniera ironica e, a tratti, esilarante, come si è trasformato da cinico giornalista in "Solo Papà", vale a dire papà al 100% con una solida ed innegabile dipendenza dalla figlia.
"Mia figlia spiegata a mia figlia" è scritto molto bene, con uno stile particolare ed originale che quelli che hanno letto "Non siamo mai abbastanza", opera prima di Dario De Marco, hanno già avuto modo di conoscere (e apprezzare). 
Naturalmente, visto l'argomento trattato, il libro risulterà particolarmente interessante per chi, come me, è uscito da non troppo tempo dalla fase dei pannolini e delle ninna nanna, per chi c'è ancora dentro e per chi, magari, sta per entrarci. No, non è una guida alla genitorialità, anzi, se c'è una cosa che Dario non cerca di fare è il guru. Emblematico che ad un certo punto dica "ogni genitore è libero di sbagliare a modo suo, noi sbagliamo così". E' un punto di vista, un'esperienza o, per dirla come lui, la storia di una dipendenza.
Lo consiglio, dunque, e non perché conosco bene l'autore da un sacco di tempo e gli voglio bene, ma perché è una boccata di aria fresca. Al contrario di tutte quelle pubblicazioni che, in tema di paternità e maternità, pretendono di insegnarci qualcosa, Dario De Marco ci viene a dire cos'ha imparato lui e come ha affrontato i luoghi comuni di cui tutti siamo vittime.
Se volete farvi un'idea, vi consiglio di dare uno sguardo al blog Solo Papà, visto che l'idea del libro è nata proprio da lì.

3.5.14

Si gioca o no non devono deciderlo gli ultras


Scrivo mentre guardo lo scempio che sta accadendo in campo all'Olimpico.
Gli scontri che hanno preceduto la partita tra Napoli e Fiorentina sono gravissimi. Si parla di 6 feriti, uno in codice rosso. Si parla di armi da fuoco.
Allo stadio esplodono petardi, si lanciano fumogeni.
Un cittadino normale per andare allo stadio deve fare tessere del tifoso, portare i documenti, attraversare i tornelli. I delinquenti ci arrivano incappucciati, con i fumogeni e le bombe carta, le spranghe, i passamontagna e tutto l'armamentario del capo ultras.
Le ultime notizie dicono che si dovrebbe giocare, ma non è questo il punto.
Il punto è che per tutto l'anno si è tollerato, in tutti gli stadi, che la legge venisse violata sistematicamente da parte di alcuni soggetti. Si tollerano violenze, scontri, cori razzisti. Si lascia che la legge, negli stadi, non valga. Può accadere che gruppi organizzati si fronteggino, che vengano danneggiate cose, che si gridino oscenità immonde.
Stasera forse ci scappa il morto, forse no.
Il problema è annoso e ogni volta si fanno gli stessi discorsi.
Io di una cosa sono sicuro: non si risolve questo tipo di problemi mandando i giocatori a parlare con i capi ultras.
E' sbagliato.
Si legittima qualcuno che, invece, non dovrebbe avere alcuna voce in capitolo.
Qualcuno che è convinto che il calcio gli appartenga.
C'è bisogno di prendere decisioni in un frangente grave?
Benissimo, esiste gente pagata per fare questo, non c'è nessun motivo razionale per interpellare uno che ha una maglietta con su scritto "libertà per gli ultras".
Invece in Italia succede sempre questo. La prima cosa che si fa si manda un calciatore a parlare con gli ultras. E questi sono i risultati.

1.5.14

I grillini inciampano ancora una volta sugli scontrini



Non c'è verso di farli andare d'accordo. I grillini e gli scontrini proprio non si prendono.
Dopo le infinite polemiche seguite alle elezioni del 2013, dopo che alcuni parlamentari sono saliti alla ribalta per averli smarriti (e quindi ciao rendicontazione), dopo che qualche altro parlamentare gli scontrini li ha presentati, ma a tutti sono sembrati un po' eccessivi, è la volta dello scontrino della spesa di Pina Picierno.
Si torna ancora a parlare degli 80 euro che il Governo garantisce in più in busta paga ai lavoratori dipendenti che guadagnano tra gli 8.000 ed i 24.000 euro. 
La deputata del PD (capolista alla circoscrizione Sud alle prossime elezioni europee) ha prima dichiarato che con 80 euro "ci si fa la spesa per due settimane" e poi si è presentata in tv, a Ballarò, con lo scontrino della spesa fatta quello stesso giorno.
Sul fatto che i conti di Pina Picierno fossero tutt'altro che sballati ho già scritto, (seppure con qualche imprecisione - non sono uno statistico - che mi è stata giustamente fatta rilevare nei commenti) e qualcuno si è già cimentato in esperimenti pratici.
La questione sembrerebbe chiusa, ma dal suo blog Grillo, con un pezzo firmato da Massimo Lanfranconi di Lecco, oggi torna ad attaccare la deputata del PD, scrivendo, tra l'altro, che "Floris che legge ogni singola voce dello scontrino portato dalla piddina Picierno, autrice di una gaffe memorabile, è una delle pagine più surreali, servili, false, indecorose e grottesche della Tv italiana di tutti i tempi."
Scorrendo i commenti, tra le varie presunte prove della falsità della spesa di Pina Picierno, più di qualcuno grida allo scandalo per l'evidente manipolazione: "dove si è mai visto uno scontrino fronte retro???1?" si chiedono i supporter a 5 stelle.
Ovemai ce ne fosse bisogno, questa è l'ennesima prova che i grillini hanno poca dimestichezza con i conti e con gli scontrini. Pina Picierno la spesa è andata a farla in un supermercato della catena Auchan, come si evince dalle numerose foto circolate, e in tale catena, già da qualche anno, sono state introdotte alle casse stampanti speciali che, allo scopo di risparmiare carta, stampano gli scontrini, appunto, fronte retro.
Sul sito della Auchan se ne parla nel loro bilancio sociale del 2010, ma in rete (ah, la rete, a saperla usare invece di invocarla soltanto) sono parecchie le testimonianze che si incontrano qui e la. Se ne parla qui, qui e qui, ad esempio.
Che dire, ormai siamo rassegnati: speriamo solo che si rassegnino anche i grillini e magari si mettano a parlare di qualcos'altro.

30.4.14

La spesa media settimanale? 40 euro. Non lo dice Pina Picierno, lo dicono le statistiche.


Strano Paese il nostro. Il Governo, come ormai sappiamo tutti, ha deciso di ridurre le tasse ai lavoratori dipendenti della fascia medio bassa. Il vantaggio, per coloro che guadagnano tra gli 8.000 ed i 24.000 euro all'anno, sarà di 80 euro al mese. Per quelli che guadagnano tra i 24.000 ed i 26.000 euro il vantaggio scende gradualmente e si azzera dopo i 26.000 euro.
Si tratta di una manovra che riguarderà oltre 10.000.000 di lavoratori. Quasi la metà degli occupati nel nostro paese (circa 22.000.000, dati Istat).
Non ho memoria di un provvedimento di tale impatto da quando seguo la politica.
Ciò nonostante, la misura è stata accolta dai commentatori in maniera, per me, strabiliante.
Un'analisi seria del provvedimento, come quella che si legge sul sito lavoce.info, dimostra alcune incongruenze che andranno affrontate e certamente rimane enorme il problema degli incapienti e dei pensionati, esclusi dal provvedimento.
Tutto questo, però, non è entrato, se non marginalmente, nel dibattito. L'unica questione sollevata è stata sull'entità del bonus, descritto come mancia o addirittura elemosina da una parte dell'opposizione.
In particolare ha destato scalpore la dichiarazione di Pina Picierno, candidata capolista del PD alle elezioni europee nella Circoscrizione Sud, che, parlando del provvedimento ha detto, tra l'altro, "con 80 euro si fa la spesa per due settimane".
Apriti cielo. La reazione è stata paragonabile a quella che ha seguito le dichiarazioni di Berlusconi sui lager nazisti.
In particolare sui social network si è scatenato lo scherno (nella migliore delle ipotesi) e l'insulto nei confronti della deputata del PD.
Anche davanti alla dimostrazione fornita da molti, con tanto di scontrini, la polemica non si è placata.
La questione è diventata surreale. Sembra di essere tornati all'inizio della legislatura, scontrini dappertutto.
Io sostengo che Pina Picierno abbia detto una cosa sensata e che chi se n'è beffata non sa bene quali sono le condizioni di vita in Italia oggi.
Ma partiamo dai dati reali. L'istat ci dice una serie di cose importanti:
Nel 2012, il 29,9% delle persone residenti in Italia è a rischio di povertà o esclusione sociale.
La metà delle famiglie residenti in Italia ha percepito, nel 2011, un reddito netto non superiore a 24.634 euro l'anno (circa 2.053 al mese). Nel Sud e nelle Isole il 50% delle famiglie percepisce meno di 20.129 euro (circa 1.677 euro mensili).
Il reddito mediano delle famiglie, che vivono nel Mezzogiorno è pari al 73% di quello delle famiglie residenti al Nord; per il Centro il valore sale al 96%.
Il 20% più ricco delle famiglie residenti in Italia percepisce il 37,5% del reddito totale, mentre al 20% più povero spetta l'8%.
Ma scendiamo nel dettaglio.
In Italia il 16,8% delle famiglie non riesce a fare un pasto adeguato almeno ogni due giorni. Il 21,2% non riesce a riscaldare adeguatamente l'abitazione.
Le percentuali al sud sono, rispettivamente, il 24,9% ed il 36,4%.
Capiamo di cosa stiamo parlando? Una famiglia su quattro al sud non è in grado di mettere nel piatto cibo a sufficienza almeno ogni 2 giorni.
Il 14,5% delle famiglie italiane è definito dall'Istat in condizioni di "severa deprivazione materiale" in quanto presentano almeno quattro di questi sintomi di disagio: i) non poter sostenere spese impreviste, ii) non potersi permettere una settimana di ferie, iii) avere arretrati per il mutuo, l’affitto, le bollette o per altri debiti; iv) non potersi permettere un pasto adeguato ogni due giorni; v) non poter riscaldare adeguatamente l’abitazione e: non potersi permettere: vi) lavatrice vii) tv a colori viii) telefono ix) automobile.
Al Sud il 48% degli individui, uno su due, è a rischio povertà ed esclusione sociale, in Italia lo è il 24,3% dei lavoratori dipendenti.
Ancora, nel 2011 l'8,9% delle famiglie ha dichiarato di non avere soldi a sufficienza per acquistare cibo. Al sud il 13,6%.
Se i fustigatori da social network avessero in mente queste statistiche, probabilmente avrebbero preso molto diversamente la dichiarazione di Pina Picierno.
Non siete ancora convinti?
L'Istat elabora anche i dati della spesa mensile media per famiglia:
La spesa media mensile per un operaio è di 490 euro al mese. A settimana, fanno 113 euro e stiamo parlando della media.
Ancora, la spesa per alimentari media di una famiglia del nord-est è di 451 euro (su 2800 euro totali). Sono 104 euro a settimana. Nelle isole la spesa media è ancora inferiore, 441 euro al mese su 1692 euro totali, 101,7 euro a settimana, incluse Pasqua, Natale ed Epifania (come si dice dalle mie parti).


Ovviamente la spesa varia a seconda dei componenti del nucleo familiare.
Un single che spende complessivamente circa 2.000 euro al mese, utilizza per la spesa 344 euro. A settimana fanno 74,5 euro, il 17,5% del reddito.


Visto che stiamo parlando di redditi che si aggirano intorno alla metà di quelli medi, vale a dire di famiglie che spendono complessivamente intorno ai 1.000, 1.200 euro, quanto sarà la spesa media in alimenti di queste famiglie? Se restassimo sulla stessa percentuale di incidenza, su un reddito di 1.100 euro la spesa sarebbe 192 euro al mese, 44 euro a settimana. Toh, siamo arrivati agli 80 euro di cui parlava la Picierno.
 Vogliamo utilizzare altre statistiche? L'Adoc ci dice che la spesa media mensile procapite degli italiani per alimenti è di 228,85 euro, pari al 15% del reddito. Fanno 52 euro a settimana (e stiamo parlando sempre di media). Addirittura se calcoliamo il 15% su 1100 euro risultano 38 euro a settimana.
Allora, chi è che vive sulla luna? Pina Picierno o i commentatori da salotto, mouse e telefonino?




16.4.14

La verità sulla modifica del 416-ter



Vista la gran caciara che si è scatenata sulla riforma dell'art. 416-ter, metto qui un piccolo promemoria, in modo che ognuno si possa fare la sua idea.
Partiamo dalla precedente formulazione dell'art. 416-ter - Scambio elettorale politico-mafioso:
La pena stabilita dal primo comma dell'articolo 416-bis si applica anche a chi ottiene la promessa di voti prevista dal terzo comma del medesimo articolo 416-bis in cambio della erogazione di denaro.
Nella vecchia formulazione, quindi, c'è un doppio richiamo all'art. 416-bis che recita:
Chiunque fa parte di un'associazione di tipo mafioso formata da tre o più persone, è punito con la reclusione da sette a dodici anni. [...]
L'associazione è di tipo mafioso quando coloro che ne fanno parte si avvalgano della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per commettere delitti, per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici o per realizzare profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri, ovvero al fine di impedire od ostacolare il libero esercizio del voto o di procurare voti a sé o ad altri in occasione di consultazioni elettorali.[...]
Veniamo ora alle modifiche approvate oggi in via definitiva.
Il 416-ter è oggetto di tentativi di modifica da anni. Se si inserisce "416-ter" nel motore di ricerca del Senato vengono restituiti 691 atti parlamentari. Ci sono proposte di modifica presentate già nel 2001.
La modifica che è stata approvata, invece, ha cominciato il suo iter parlamentare alla Camera il 16 luglio 2013. In quell'occasione fu approvato il seguente testo:
Chiunque accetta consapevolmente il procacciamento di voti con le modalità previste dal terzo comma dell'art. 416-bis in cambio dell'erogazione di denaro o di altre utilità è punito con la reclusione da quattro a dieci anni. La stessa pena si applica a chi procaccia voti con le modalità previste nel primo comma.
Questo testo fu approvato anche dal Movimento 5 stelle. L'On. Micillo nell'intervento che ascoltate qui sotto parlò di quel provvedimento addirittura di un esempio di come "lavorare insieme è possibile", seppur rilevando l'auspicio di voler approvare un provvedimento con pene più alte.





Il provvedimento prosegue il suo iter.
Il 28 gennaio 2014 il Senato lo approva con questa formulazione (in neretto le modifiche):

Chiunque accetta la promessa di procurare voti mediante le modalità di cui al terzo comma dell'articolo 416-bis in cambio dell'erogazione o della promessa di erogazione di denaro o di qualunque altra utilità ovvero in cambio della disponibilità a soddisfare gli interessi o le esigenze dell'associazione è punito con la stessa pena stabilita nel primo comma dell'articolo 416-bis.La stessa pena si applica a chi promette di procurare voti con le modalità di cui al primo comma
In questa formulazione, quindi, la pena viene fissata "da 7 a 12 anni" (per via del riferimento al 416-bis).

Il 3 aprile la Camera approva il testo modificandolo:
Chiunque accetta la promessa di procurare voti mediante le modalità di cui al terzo comma dell'articolo 416-bis in cambio dell'erogazione o della promessa di erogazione di denaro o di altra utilità è punito con la reclusione da quattro a dieci anni. La stessa pena si applica a chi procaccia voti con le modalità indicate al primo comma.

Lo stesso identico testo viene infine approvato dal Senato oggi, 16 aprile 2014.

Questi i fatti.
Come chiunque può notare, il testo finale del provvedimento è abbastanza simile (uguale nella determinazione delle pene) a quello approvato in prima lettura il 16 luglio 2013, con l'approvazione anche del Movimento 5 Stelle e con la relazione positiva di Micillo. 
Cambiare idea è certamente lecito, così come è legittimo auspicare pene più severe, ma credo che Grillo dovrebbe spiegare agli italiani, visto che chiama mafiosi quelli che hanno approvato oggi la legge, se anche il Movimento 5 stelle sia stato mafioso il 16 luglio 2013. O, forse, più semplicemente, dovrebbe abbassare i toni e, magari, utilizzare quelli critici ma costruttivi che abbiamo sentito utilizzare da parte di Micillo alla Camera.

14.3.14

La differenza tra Berlusconi e Renzi è la data


Dal giorno della conferenza stampa di Matteo Renzi, quella con le slide che illustravano i provvedimenti che il Presidente del Consiglio stava annunciando, non si contano i paragoni con Silvio Berlusconi.
Ho già scritto in passato di quanto consideri incredibile l'ossessione berlusconiana che opprime una parte degli italiani, ma ciò che accade in questi giorni è davvero stupefacente.
D'accordo, siccome siamo tutti impressionati dalla capacità comunicativa di Renzi, quando andiamo a cercare termini di paragone il primo che ci troviamo davanti è Berlusconi. Certamente è improponibile il paragone con gli ex segretari e/o candidati premier del PD/DS/PDS (Bersani, Franceschini, Fassino, D'Alema, Rutelli, Prodi, forse l'unico che aveva un po' di carisma in più era Veltroni).
Ma veramente Berlusconi rappresenta un termine di paragone per Matteo Renzi?
Io credo davvero di no.
Berlusconi è un imprenditore (chiacchierato), i cui rapporti con la politica erano sostanzialmente improntati al chiedere favori in cambio di finanziamenti, che un bel giorno decide di "scendere in campo", schierare i propri dipendenti, stravolgere le obsolete forme di comunicazione politica. Una volta ottenuto il successo alle elezioni, non si può dire che Berlusconi abbia brillato come governante. Il suo primo governo è durato pochissimo, gli altri sono stati caratterizzati da coalizioni che si sfaldavano, scandali, gaffes, macchiette, ma davvero pochissimi risultati. Tant'è che nei 20 anni dalla discesa in campo (che ricorrono tra pochi giorni) il Paese è declinato sempre di più. Non solo per colpa di Berlusconi ma soprattutto per colpa di Berlusconi.
Renzi ha una storia totalmente diversa, tutta politica. Non è nuovo rispetto ai politici, casomai è un politico nuovo. Diventa Presidente della Provincia e poi Sindaco di Firenze, inventa la Leopolda, lancia la sfida al ceto politico del PD, prima perde, poi vince, poi diventa Presidente del Consiglio.
Non ha truppe da schierare, non si è preso il partito a suon di tessere, non ha fondato una corrente. 
Possiamo dire che ha vinto con e grazie alle sue idee, soprattutto quella della rottamazione, sfruttando il sentimento di stanchezza che il ceto politico ha suscitato in una società immobile da troppo tempo, nella quale una generazione, quella degli attuali trenta/quarantenni, è stata condannata a portare il peso dei fallimenti della generazione precedente.
Fin qui, quindi, nessuna analogia.
Sui contenuti? Berlusconi si è imposto con il nuovo miracolo italiano, la promessa di uno Stato liberale, la fine dei lacci e lacciuoli, la paura del nemico comunista, il mito dell'impresa contro lo spauracchio dello stato padrone.
Renzi parla di innovazione, di scuola, di efficienza, chiama gli elettori per nome e si fa chiamare per nome, rompe alcune liturgie, twitta.
Berlusconi faceva promesse vaghe e immaginifiche: meno tasse per tutti, nessuno rimanga indietro. Aveva una visione manichea, l'amore trionferà sull'odio e le faceva in campagna elettorale.
Renzi mette le date di scadenza alle cose che dice mentre è al governo: legge elettorale entro il 28 febbraio, 80 euro a chi guadagna meno di 1500 euro netti entro in busta paga il 27 maggio, auto blu all'asta entro il 26 marzo. 
Il libro dei sogni contro il file excel.
Il contratto con gli italiani siglato con la penna d'oro dietro una scrivania di mogano fatta portare artificialmente in uno studio televisivo, contro una conferenza stampa con le slides.

Rinfacciare a Berlusconi i suoi fallimenti era difficilissimo, diceva tante cose, senza una scadenza, il fact checking era impossibile.
Renzi ci ha dato scadenze a 20 giorni, a 30 giorni. Prima del voto per le europee di Maggio sapremo se erano fandonie o verità quelle che ci ha detto l'altro giorno.
Poi c'è da fare un discorso sull'accountability. Per Berlusconi la colpa delle cose che non gli riuscivano era sempre degli altri. I giudici comunisti, soprattutto, ma anche gli alleati recalcitranti, il Capo dello Stato, la crisi mondiale, il terremoto. Coltivava il mito della sua invincibilità e per perpetrarlo era disposto a trovare sempre negli altri la responsabilità dei fallimenti.
Renzi si prende tutte le responsabilità. Se non ci sono i soldi in busta paga a maggio, ha detto, sono un buffone. Nel discorso della sconfitta delle primarie 2012 non se l'è presa con le regole assurde che gli avevano imposto o, come molti a sinistra, con gli elettori che non l'avevano capito. Disse: la responsabilità è mia. Non si presenta, quindi, come l'invincibile, ma come uno che quando fallisce lo dice e se ne prende la colpa. Tra questi due atteggiamenti c'è una differenza mastodontica.

Un'ultima considerazione sulle date:
Molti si interrogano sull'utilità che può avere annunciare un provvedimento prima di averlo fatto, specialmente con scadenze così ravvicinate. La critica che ho letto di più, dopo la conferenza stampa, è "solo annunci, niente fatti".
Ci ho pensato ed io la vedo così: Renzi con le scadenze ottiene due effetti. Il primo: gli elettori hanno un dato da verificare, se lui fa quello che dice cresce la sua affidabilità.
Il secondo: Renzi è un Sindaco. Anche se ora è il Presidente del Consiglio, si sente un Sindaco, è abituato ad avere a che fare con gli uffici pubblici e considera la burocrazia dei ministeri nient'altro che la burocrazia di un comune in scala gigante. Chi ha lavorato in una pubblica amministrazione lo sa: non c'è niente che spinga gli uffici a lavorare come una data di scadenza, indispensabile per ottenere un risultato. Renzi applica lo stesso metodo anche con il Parlamento. Da Vespa ha detto: avevo annunciato che avremmo approvato la legge elettorale entro il 28 febbraio, l'abbiamo fatto il 12 marzo, ma se io non avessi annunciato la data del 28 febbraio non ce l'avremmo fatta nemmeno entro il 2014.
Ecco, parafrasando la fase di Walt Disney che Renzi ogni tanto cita, la differenza tra Berlusconi e Renzi è la data. Ah, poi ci sarebbe un'altra piccola differenza. Renzi è un uomo di centrosinistra. Berlusconi è un uomo di destra che si è finto di centro per convenienza politica.

4.2.14

Dirigenti pubblici pigliatutto. Un'altra malattia della Pubblica Amministrazione

Alla fine il dottor Mastrapasqua si è dimesso.
Non è stato semplice ottenere che l'ex Presidente dell'Inps, detto anche "Mr. 25 poltrone", lasciasse l'incarico. Mastrapasqua dev'essere un tipo molto determinato, uno che, ad esempio, non si ferma di fronte ad una condanna per aver ottenuto la laurea fraudolentemente.
Certo, è stato riabilitato, come ci tiene a sottolineare, dal Tribunale di Sorveglianza. E la riabilitazione dev'essere stata davvero convincente per lo Stato italiano, che non sapeva più cos'altro fargli fare. 25 incarichi, guadagna circa 1 milione e 300.000 euro all'anno, più di 3 volte le prebende di Barack Obama, per dire. Non voglio neanche entrare nelle vicende giudiziarie in cui da ultimo è stato coinvolto il dott. Mastrapasqua. Mi preme, invece, approfondire un altro aspetto.
Non è la prima volta, in Italia, che la questione dei doppi incarichi per i manager pubblici viene alla ribalta. Nel 2008 Antonello Caporale, attualmente al Fatto quotidiano, dalle pagine di Repubblica sollevò il caso di Francesco Verbaro, incaricato multiplo all'epoca a capo del Dipartimento della Funzione Pubblica (ministro era Brunetta).
Roberto Perotti e Filippo Teoldi sul sito lavoce.info hanno analiticamente elencato leretribuzioni dei dirigenti pubblici, dopo che qualche giorno prima lo stesso Perotti aveva dimostrato la sproporzione tra le somme pagate in Italia e nel Regno Unito. Dirigentisuperpagati, dunque, talmente bravi da ricoprire spesso incarichi multipli. Tutto ciò dovrebbe essere sintomo di uno Stato capace di distinguere i meritevoli dagli altri, uno Stato in grado di premiare chi porta risultati.
E invece no. D'accordo, ora assistiamo al solito tiro al piccione, ma dai commenti di questi giorni scopriamo che già la ministra Fornero avrebbe voluto sostituire Mastrapasqua, manon ci riuscì a causa di resistenze (a proposito professoressa Fornero, forse sarebbe il caso di essere un po' più chiara: ma chi è che oppose resistenza? Detta così sembra che la colpa sia dei soliti poteri forti, un po' complottista come teoria) e scopriamo anche che la gestione dell'INPS non è proprio da incorniciare.
E allora, ci chiediamo, come funziona? Un dirigente dal passato non proprio cristallino, che il Ministero voleva sostituire già 2 anni fa, la cui gestione è in perdita, perché continua ad accumulare incarichi pubblici?
E come si concilia tutto ciò con una pubblica amministrazione assolutamente incapace di premiare il merito tra i propri ranghi, tanto che a più di 4 anni dal d.lgs. 150/09 (nonostante l'ex Ministro Brunetta si vantasse) assolutamente niente è stato fatto nella direzione della meritocrazia e, anzi, vi sono vistosi segnali di esplicita retromarcia?
In tutto questo, lo si noti, il problema delle responsabilità non è stato tenuto in nessuna considerazione, né dalla politica (che si è affrettata a chiedere le dimissioni di Mastrapasqua da Presidente dell'INPS, ma niente risulta detto sugli altri 24 incarichi), né dai media. Nessuno, ad esempio, è andato a chiedere conto ai responsabili delle nomine. Nessuno che abbia chiesto al responsabile della venticinquesima nomina: ma scusi, secondo lei dove lo trovava Mastrapasqua il tempo per dedicarsi anche a questo incarico? E ora che il nodo è venuto al pettine, non sarebbe il caso di chiedere conto dei risultati ottenuti in quei 24 incarichi?
Il Jobs Act presentato da Matteo Renzi qualche settimana fa presentava anche un passaggio sull'abolizione dei dirigenti pubblici di ruolo. Il segretario del PD è stato impegnato nella definizione della legge elettorale e, quindi, la cosa è passata un po' in secondo piano. Spero che il discorso venga ripreso presto e che sulla dirigenza pubblica si faccia un discorso serio a proposito del merito e dell'accountability, che vengano finalmente proposte norme concrete sulla trasparenza e sulla corruzione (la Commissione Europea ci ha appena, per l'ennesima volta, bacchettato sul tema).
Una Pubblica Amministrazione efficace e trasparente è condizione imprescindibile per ridare competitività all'Italia. Il Disegno di Legge sui doppi incarichi di Presidenti ed Amministratori degli Enti Pubblici Nazionali è cosa giusta, ma assolutamente insufficiente a risolvere una questione che è di sistema.

L'Electrolux non è l'Italia. Non aspetta

Al di là delle esternazioni sulla irricevibilità del piano presentato dalla Electrolux e delle dichiarazioni altalenanti con cui il Ministro Zanonato ci aggiorna sul tavolo instaurato con l'azienda, ci sono alcune considerazioni che vanno fatte e che non riguardano specificamente questa crisi.
Certo, considerando il numero di lavoratori occupati dalla Electrolux, la politica fa benissimo ad occuparsi del caso, a trattare per cercare una soluzione che salvaguardi quanto più possibile l'occupazione e la retribuzione dei lavoratori, ma l'impressione è che questa trattativa, come tante altre alle quali abbiamo assistito negli ultimi anni, potrà rallentare ma non cambiare le scelte strategiche dell'impresa.
Electrolux negli ultimi 10 anni ha aperto o ampliato stabilimenti in Polonia, Ungheria, Messico, Tailandia, Cina e Russia. E la chiusura degli insediamenti nei paesi dell'Europa Occidentale non è una novità di questi giorni. È scritto chiaramente nel lororapporto di sostenibilità del 2004, a pagina 10:
Mentre un mercato sempre più competitivo obbliga Electrolux a ridurre il numero di stabilimenti in alcuni Paesi, ci proponiamo di gestire responsabilmente l'impatto di questi cambiamenti sui dipendenti e sulle comunità.
E l'Electrolux non è l'Italia, non può aspettare all'infinito le nostre riforme. Un'impresa non si lascia ipnotizzare dalle promesse ventennali, non si può ingannare all'infinito. In un articolo su Repubblica intitolato sinistramente "La fretta cattiva consigliera", Vincenzo Visco indicò, come primo punto della necessaria riforma del sistema fiscale italiano, la riduzione del costo del lavoro. Era il 1994. Sono passati 20 anni e la questione è ancora irrisolta.
Ora, per affrontare le, purtroppo, tante crisi aziendali che già ci sono o stanno per palesarsi (si parla di centinaia di vertenze e di oltre 120.000 lavoratori coinvolti
possiamo continuare a temporeggiare, come abbiamo fatto sinora. Magari gridando allo scandalo se un'impresa ci fa sapere che il differenziale tra i costi che deve sostenere in Italia e quelli polacchi è troppo alto. Oppure possiamo finalmente intraprendere la strada delle riforme. Sul tavolo c'è già il Jobs act presentato da Renzi. Non è la panacea di tutti i nostri mali, ma è un inizio.
Certo, forse avremmo bisogno di un governo più autorevole, più deciso. Ma la situazione è quella che è e dopo l'accordo raggiunto sulla legge elettorale, paradossalmente le elezioni si allontanano. C'è, dunque, il tempo ed il modo per intervenire sulle grandi questioni che riguardano la semplificazione, la riduzione del costo del lavoro e, soprattutto, le scelte di politica industriale che da troppo tempo mancano.
Politicamente, il governo Letta si trova davanti ad una strada obbligata. Secondo gli ultimi sondaggi, più di 6 italiani su 10 hanno un giudizio negativo sull'operato della compagine di governo. L'interventismo di Renzi ed il tentativo di riconquistare la scena politica da parte di Berlusconi rischiano di far tramontare il governo voluto fortemente, neanche un anno fa, dal Presidente Napolitano per affrontare le emergenze del Paese. Anche tutto ciò potrebbe giocare a favore delle riforme. Letta e Alfano si giocano tutto nei prossimi mesi. Speriamo che non sia l'ennesima occasione mancata.

30.1.14

Il cavallo di Caligola in Parlamento ci va con qualunque sistema

Pubblicato su Huffington Post il 28 gennaio 2014
Da quando Matteo Renzi ha incontrato Berlusconi al Nazareno ed ha chiuso l'accordo sulla nuova legge elettorale si è scatenato un dibattito partecipatissimo. Da popolo di commissari tecnici per eccellenza ci siamo trasformati in popolo di costituzionalisti ed esperti di sistemi elettorali.
Il tema che, più degli altri, ha scosso le coscienze è quello delle preferenze. Berlusconi non le vuole in nessun modo. Il PD che fino a ieri non era disposto ad accettarle a nessun costo è ora spaccato e, precisamente, il neo segretario dice di essere in teoria per le preferenze ma di aver accettato i collegi plurinominali come compromesso mentre la minoranza si è scoperta improvvisamente innamorata del voto personale (su YouTube gira questo video sarcastico del quale, tuttavia, colpiscono i toni perentori contro le preferenze utilizzati dalla vecchia dirigenza). I partiti più piccoli, dal Nuovo Centro Destra all'UDC si erano da tempo schierati per le preferenze e ora tengono il punto.
Ma è davvero questo il nocciolo della questione? Davvero all'improvviso il sistema attraverso il quale si seleziona un deputato è sintomo di maggiore o meno democrazia?
Si dirà che per anni il porcellum è stato (a parole) criticato da tutti per essere un sistema che "non consente ai cittadini di scegliere chi mandare in Parlamento". La considerazione è senz'altro giusta, ma corrisponde al vero? I partiti hanno realmente utilizzato il porcellum per mandare in Parlamento chiunque, ricordando il famoso aneddoto di Caligola e del suo Cavallo potenziale senatore?
Io non la penso così. Vediamo perché.
I numeri.
Senza troppi sforzi, sul sito della Camera sono disponibili le statistiche relative ai deputati delle ultime 4 legislature prima di quella attuale. Nelle prime due si è votato con il mattarellum (1996 e 2001), nelle ultime due con il porcellum (2006 e 2008). Se andiamo a confrontare il tasso di ricambio, ovvero la percentuale di neo deputati, notiamo dati assolutamente omogenei: gli eletti per la prima volta alla Camera sono stati 281 nel 1996, 285 nel 2001, 300 nel 2006 e 282 nel 2008. Secondo il fan club delle preferenze i partiti attraverso il sistema delle liste bloccate avrebbero tolto ai cittadini il diritto di scegliere. I numeri ci dicono che su 4 legislature, in un intervallo di 12 anni, non solo il dato relativo ai deputati neoeletti è costante, ma è del tutto evidente che i partiti non hanno approfittato del porcellum per stravolgere il Parlamento.
La memoria.
Io ero piuttosto giovane, ma il movimento referendario del 1991 e del 1993 me lo ricordo bene. Per l'abolizione della preferenza multipla votarono quasi 27 milioni di italiani. Il 95,6% dei votanti. Fu un vero e proprio plebiscito ed è bene ricordare che tra i referendum per i quali il movimento guidato da Mario Segni raccolse le firme c'era anche quello per rendere uninominale il sistema con il quale venivano eletti i senatori. Referendum che fu riproposto 2 anni più tardi ed al quale gli italiani risposero con un assordante coro di quasi 29 milioni di sì. Fu a seguito di quei referendum che venne approvato il mattarellum, sistema maggioritario con riserva proporzionale, e non furono in pochi a criticarlo proprio per il mantenimento di una quota proporzionale. Tant'è vero che nel 1999 ci si riprovò. Ancora attraverso un referendum si tentò di abolire definitivamente la quota proporzionale del mattarellum, per renderlo totalmente maggioritario. L'obiettivo fu letteralmente sfiorato. L'affluenza si fermò al 49,6% ed il proporzionale restò in vita, nonostante gli oltre 21 milioni di sì. Dunque, ancora nel 1999, appena una manciata di anni fa, un vasto movimento di opinione vedeva nel superamento del sistema proporzionale e del meccanismo delle preferenze un elemento di modernità e di pulizia (nel 1999 lo schieramento referendario era guidato da Occhetto e Di Pietro).
I collegi sicuri, i nominati ed i paracadutati.
In molti, tra quelli che criticano l'Italicum, asseriscono che il collegio plurinominale, attraverso il listino bloccato, ancorché corto, non consentirebbe realmente ai cittadini la piena libertà di voto. Ma il mattarellum era davvero un sistema che consentiva ai cittadini di scegliere i propri rappresentanti? In realtà, mattarellum vigente, si parlava spesso di collegi sicuri, incerti e perdenti, ovvero della suddivisione dei collegi elettorali in base all'orientamento storico dimostrato alle elezioni precedenti. Le possibilità di essere eletti per uno schieramento in alcuni collegi rasentava la sicurezza, come dimostrarono i casi di Antonio Di Pietro eletto nel Mugello e di Bobo Craxi eletto a Trapani.
Si parlava in questi casi di paracadutati, ovvero di candidature totalmente estranee ai territori, calate dall'alto per tutelare qualche pezzo da 90 della nomenclatura o, sovente, per assicurare il seggio sicuro a qualche alleato altrimenti recalcitrante. Andando a cercare tra gli articoli di cronaca dell'epoca mattarellum si scopre che, ad esempio, l'Ulivo nel 2001 considerava sicuri "solo" 118 collegi. Alle elezioni il centrosinistra avrebbe conquistato 183 seggi, compresi quelli ottenuti con il riparto della quota proporzionale a seguito dello scorporo. Il che significa che la dirigenza dei partiti dell'Ulivo, all'epoca, nominò quasi completamente la propria rappresentanza in Parlamento. Roberto Gritti in "Frammenti di Seconda Repubblica" (Nuova Cultura Editore) con uno studio molto approfondito dimostra come, a seguito dell'alleanza di centro destra che includeva la Lega, nel Nord Italia nel 1994 i collegi considerati "sicuri" erano addirittura il 79% del totale. Se, anche in questo caso, aggiungiamo la quota di parlamentari che venivano recuperati con il proporzionale (lo ricordiamo, con un listino bloccato), arriviamo alla conclusione che quasi il 100% dei deputati di Centro destra del 1994 furono letteralmente cooptati dalle segreterie di Lega e Forza Italia. Con buona pace del diritto di scegliere dei cittadini.
Dagli ai partiti.
Dunque, l'impressione è che l'opinione pubblica da tangentopoli in poi si orienti semplicemente in maniera antitetica ai partiti più rappresentativi. Maggioritari quando la DC era proporzionalista, anti preferenze quando Craxi invitava ad andare al mare, a favore delle preferenze e tendenzialmente proporzionalisti oggi che PD e Forza Italia hanno trovato un accordo su una legge maggioritaria che non prevede le preferenze.
Non c'entra niente il diritto di scegliere i propri rappresentanti che, come abbiamo visto sopra, è sempre stato (e sempre sarà, com'è giusto che sia in un sistema di democrazia indiretta) saldamente nelle mani dei partiti.
C'entra, piuttosto, una certa riottosità italiana al cambiamento, specialmente quando questo sembra a portata di mano. Gli indignados nostrani, i cui vizi ha magistralmente descritto Sergio Fabbrini sul Sole 24 ore, sembrano muoversi come un pendolo, oscillando da una posizione all'altra a seconda di come si muovono i partiti maggiormente rappresentativi o, per dirla come si usa oggi, la casta.
Questo ci conduce al reale nocciolo della questione. Il rapporto tra governanti e governati, la selezione delle classi dirigenti e la loro accountability. Sarebbe forse il caso di smettere di cercare di impedire a Caligola di nominare senatore il proprio cavallo e di cominciare a chiedersi come individuare, riconoscere e sanzionare le responsabilità del cavallo e, di conseguenza, di Caligola.

26.1.14

Risvegli.



Ce lo ricordiamo tutti il bellissimo film con Robert De Niro e Robin Williams.
Mutatis mutandis, una buona parte dei politici e dei commentatori in questi ultimi 7 giorni mi rammentano gli ammalati raccontati nel film di Penny Marhall.
Se ne stavano lì, catatonici, come negli ultimi 20 anni. Pronti a recitare a memoria la stessa parte.
Gli antiberlusconiani a parole, gli alfieri della sinistra giusta, a crogiolarsi nei loro "nella misura in cui". Poi, un giorno, sono arrivate le primarie dell'8 dicembre 2013. 2 milioni di barbari hanno eletto Matteo Renzi a capo del PD. E all'improvviso, eccoli: risvegli.
Da allora è un susseguirsi di dichiarazioni e prese di posizione. Gente che si vergogna che ci si incontri con Berlusconi dopo aver governato con la fiducia di Berlusconi. Pasdaran delle preferenze che pochi mesi fa le consideravano come il male assoluto. Paladini della rappresentanza dei piccoli partiti che scrivevano articoli contro la frammentazione politica. Tutto ed il suo contrario.
Il perché è semplice: la legge elettorale non c'entra niente. E' una questione di orgoglio personale. Ci hanno raccontato per 20 anni che non era possibile, che il fallimento era nelle cose e non nella loro scarsa attitudine alla politica. E invece non è così. Le cose si possono fare. Gli obiettivi si possono raggiungere.
Non era impossibile, erano loro che erano scarsi. Molto, molto semplicemente.
Ah, il film finiva con i catatonici che tornavano catatonici.

24.1.14

Grillo preferisce perdere.




Va gridando ai quattro venti che vuole cambiare l'Italia, che il Movimento 5 Stelle vuole mandare tutti a casa, ma ieri, durante la conferenza convocata per la stampa estera, abbiamo scoperto la verità: Grillo di governare non ne vuole proprio sapere.
Il solo pensiero lo fa impazzire.
Farebbe, anzi, fa qualunque cosa cosa pur di non governare. 
Sappiamo tutti che a Febbraio del 2013, dopo lo straordinario risultato elettorale che ha conseguito alle elezioni, gli fu offerto di formare un governo insieme al PD di Bersani. Un governo di scopo, visto che l'ex segretario del PD aveva individuato 8 punti specifici da affrontare.
Non se ne fece niente. Il Movimento rifiutò davanti agli occhi di tutti, in un memorabile confronto in diretta streaming alla fine del quale ci siamo augurati tutti che davvero il M5S provvedesse a cambiare i capigruppo ogni 3 mesi (promessa che per fortuna hanno mantenuto).
Non se n'è fatto niente quando, un mesetto fa, Matteo Renzi ha proposto il famoso #beppefirmaqui, un pacchetto di riforme istituzionali in grado di far risparmiare un miliardo di euro all'anno, per sempre, all'Italia.
E niente di fatto nemmeno per la legge elettorale, sulla quale Grillo e Casaleggio hanno deciso che non era nemmeno il caso di ascoltare la proposta del PD.
In tutte queste occasioni il riccioluto genovese si è esibito (tra "zombie", "ebetino" e altre simili amenità) in una serie infinite di scuse impapocchiate alla bell' e meglio. E' andato da "la fiducia mai, ma voteremo le singole proposte", a "questo Parlamento è illegittimo e non può decidere niente" e così via.
Ma la pietra tombale, la vera conferma che Grillo non ha nessuna intenzione di fare alcunché per gli Italiani l'abbiamo avuta ieri durante la conferenza stampa di cui parlavo.
La legge elettorale - ha tuonato Mr. 5 stelle - l'hanno fatta apposta contro di noi. Ci vogliono eliminare!
Quando ho letto questa frase non ci potevo credere. Sono andato a cercare l'audio della conferenza per sentirla con le mie orecchie. Tutto vero. Ha proprio detto così.
Allora sono andato a rileggermi la bozza dell'Italicum, per cercare la parte che contiene la norma elimininacinquestelle. Ma non l'ho trovata. Anche perché il Peppone nazionale mica ce l'ha detto in che modo vogliono farlo fuori.
O meglio, una cosa l'ha detta: 
«La legge elettorale che stanno facendo questi due è per fermare noi che siamo la variabile impazzita». Con l’Italicum «noi saremo tagliati fuori - ha proseguito -immaginate il ballottaggio tra noi e il Pd. A chi indirizzerà il voto Berlusconi con le sue tv e i giornali. Lo sappiamo che non abbiamo scampo per andare al governo.»
Ma come Grillo, perché parli di ballottaggio? Ma se neanche 2 mesi fa, alla vigilia del "memorabile" terzo Vaffanculo Day, avevi detto che i pentastellati avrebbero preso il 51%?
Che è successo, tra Natale e Capodanno hai già ridotto il tuo obiettivo di 16 punti percentuali?
E sì, perché per andare al ballottaggio che tanto temi, caro Mr. 5 Stelle, devi prendere meno del 35%.
E tu che dici sempre che vuoi andare a votare con la legge proporzionale pura attualmente in vigore, dove per "vincere" veramente dovresti prendere il almeno il 51%, ora ti metti paura dell'Italicum dove per vincere basta il 35%? 
Qualcosa non torna.
A meno che.
A meno che non sia proprio questo il problema. Che con questa legge maggioritaria esista una, seppur lontana, possibilità che davvero il Movimento 5 Stelle vinca le elezioni.
Un po' come Nanni Moretti in "aprile" che racconta al telefono "Ho chiesto di assistere al parto, spero mi dicano di no".
Immaginiamo che nessuno lo raggiunga il 35% e che Grillology sia davvero il secondo o, perché no, il primo partito. Cosa realmente gli impedirebbe di vincere le elezioni?
Certo, si potrebbe tentare di condizionare il voto impiantando microchip almeno alla metà degli elettori, ma 22 milioni di microchip non è uno scherzo impiantarli in 2 settimane.
Si potrebbe tentare con l'irrorazione massiccia di gas condizionanti utilizzando gli aerei delle scie chimiche, ma anche qui, mica è semplice.
La realtà è che non c'è proprio niente che impedirebbe a Mr. 5 Stelle di vincere le elezioni a parte, si spera, il buon senso degli Italiani.
E allora, proprio per questo, quella possibilità va scongiurata. Appena Grillo si è reso conto che, con la nuova legge, il suo Movimento potrebbe riuscire vincitore dalle urne è andato in tilt.
Grida al complotto, agita i fantasmi dell'inciucio e dell'autoritarismo.
Come farebbe il Movimento se vincesse?
Leggi, Commissioni, Incontri internazionali, regolamenti, problemi, coperture finanziarie...
E' così comodo starsene lì, senza far nulla.
Preferisce perdere.
Un po' come il cinematografico presidente della Longobarda.


22.1.14

L'Italia cambia (mentre tutti parlano delle preferenze).


Da quando è stata resa pubblica l'intesa raggiunta con Forza Italia sulla riforma elettorale e su quella Costituzionale, il dibattito si è concentrato quasi esclusivamente sul tema preferenze sì, preferenze no.
Sul punto ho già scritto come la penso, ma lasciatemi dire che sono molto meravigliato del fatto che al resto dell'accordo non sia stata dedicata l'attenzione che merita.
Eppure la carne a cuocere non manca.
Nel progetto di riforma, innanzitutto, c'è la fine del bicameralismo perfetto. Il Senato non avrà più la potestà legislativa e il modello abbozzato potrebbe risultare simile a quelli esistenti in altri Paesi (Camera dei Lords, Bundesrat, Senato francese), dove alla seconda camera sono attribuiti poteri di controllo, a volte anche di veto su alcune materie, ma il procedimento di approvazione delle leggi è sensibilmente più snello di quello attualmente in vigore da noi. Qualche giorno fa Battista sul Corriere ha raccontato del declino del Senato. Io, pur condividendo alcune considerazioni, sono convinto che non sia quello il punto. Se fosse una questione di prestigio delle istituzioni, dovremmo abolirle tutte, purtroppo. Invece ritengo sia una questione di essere al passo coi tempi. Il Senato era stato disegnato per rappresentare le Regioni in un'Italia che le Regioni ancora non le aveva (bisognerà aspettare il 1970). Dopo che la riforma (sulla quale tornerò tra un attimo) del Titolo V della Costituzione ha attribuito alle Regioni un'ampia potestà legislativa, ha ancora senso mantenerlo? Secondo me no. Per questo guardo con favore all'introduzione del moncameralismo.
C'è poi, la questione delle Regioni. Sotto l'aspetto del taglio alla spesa pubblica si introduce un tetto alle prebende dei consiglieri regionali (il che non può che far piacere) ma, soprattutto, si accenna ad una revisione dell'art. 117 della Costituzione, con la fine della potestà legislativa concorrente (che tanto conflitto innanzi alla Corte Costituzionale ha generato) ed una ripartizione rigida delle materie tra Stato e Regioni. Si tratta, a mio modestissimo avviso, di un intervento provvidenziale. La potestà legislativa delle Regioni è stata utilizzata, dal 2001 ad oggi, poco e male. Una ridefinizione delle competenze è necessaria e, in concomitanza con la da troppo tempo annunciata abolizione delle Province, potrà essere l'occasione per disegnare un assetto dello Stato più moderno ed efficiente.
Fa sul serio Renzi? Ci riuscirà a portare avanti le Riforme di cui, da anni, sono pieni i programmi dei partiti, i discordi di fine anno del Presidente della Repubblica e quelli di insediamento dei Presidenti del Consiglio?
Naturalmente in questo momento nessuno può dirlo. Gli interlocutori di Renzi non hanno mai brillato per affidabilità, tutt'altro. Ci sono però un paio di considerazioni da fare. La prima: i tempi della legge elettorale sono talmente brevi che se qualcuno ha intenzione di bluffare non tarderà a scoprirsi. La seconda: fatta la legge elettorale, le riforme costituiranno l'assicurazione sulla vita del Governo. Da quel momento in poi, infatti, l'argomento che le nuove elezioni non garantiranno un governo non potrà più essere utilizzato. Al primo intoppo, quindi, si tornerebbe alle urne.

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