27.11.13

5 stelle. Pensavo fosse rivoluzione e invece era un calesse.


"Perché calesse? ...per spiegare al meglio la delusione di un qualcosa le cui aspettative non sono state mantenute, poteva essere usato un qualsiasi altro oggetto , una sedia o un tavolo, che si contrappone come oggetto materiale all'amore spirituale che non c'è più. Mi piaceva e poi si possono trovare tante cose con il calesse: si va piano, si va in uno, si va in due, ci sta pure il cavallo...Quando non è più amore ma <>, bisogna avere il coraggio della fine, piano piano, con dolcezza, senza fare male...ci vuole lo stesso impegno e la stessa intensità dell'inizio." (M.Troisi)
Sono tra quelli che avevano riposto una qualche speranza nel risultato elettorale ottenuto dal Movimento 5 stelle. 9 milioni di voti. Tanti parlamentari. A 9 mesi dal voto il mio ottimismo di allora ha lasciato spazio ad una cocente delusione.
La montagna ha partorito un topolino, anzi, a ben guardare nemmeno quello.
Non voglio tanto parlare delle mille chicche e stramberie che i seguaci di Grillo ci hanno regalato in questi mesi (che pure un po' dovrebbero farci riflettere: tra microchip, scie chimiche, Pino Chet, sirene, l'uscita su Nassiriya, etc. etc.). Non mi voglio impicciare nelle loro beghe interne, tra epurazioni ed editti bulgari. Non voglio nemmeno tornare sul fatto che dopo aver passato i primi 100 giorni a parlare di scontrini e diarie hanno poi deciso di usarle, le diarie. E non voglio neanche stigmatizzare alcune forme di "protesta" utilizzate dai parlamentari (le ascese ai tetti del parlamento o i telefonini che suonano in aula) che potrebbero essere un tono di colore da affiancare all'azione istituzionale.
No, la vera delusione viene proprio dalla mancanza di una vera e decisa strategia parlamentare.
Conosco già la risposta dei pentastellati. "tagli alla spesa e reddito di cittadinanza sono una realtà grazie alla nostra esistenza".
Ebbene, rifiuto totalmente questo ragionamento. La battaglia sul reddito di cittadinanza, ad esempio, è vecchia come il cucco. In Europa si organizzavano movimenti transnazionali sul reddito di cittadinanza quando Grillo ancora non sapeva nemmeno cosa fossero i computer che di seguito avrebbe cominciato a spaccare. Negli ultimi 30 anni è stato un cavallo di battaglia di molti partiti di sinistra, rivendicarla da parte del M5S è solo un atto di arroganza.
E poi, che differenza c'è tra un sondaggio, una protesta ed un partito politico che viene eletto in parlamento?
Al M5S sembra sfuggire completamente la differenza tra proposta e protesta, tra denuncia e risultato politico. Sono 106 i deputati del gruppo M5S. E sono 50 i Senatori. Ma davvero ritengono di poter rivendicare come un loro risultato il fatto che altri approvino un provvedimento (peraltro minimo) sul reddito di cittadinanza? Ma davvero ritengono di aver impresso una svolta alla politica italiana?
E per quanto tempo ancora potranno invocare come "scusa" il fatto di non avere il 51% del Parlamento quando sappiamo tutti che ciò non avverrà mai? Un partito che non è stato in grado, dopo la parentesi dell'elezione del Presidente Grasso al Senato, di stringere una sola alleanza in Parlamento, che non ha approvato un solo provvedimento di rilievo, con che faccia si presenta ai propri elettori che ha illuso con la promessa di una rivoluzione? 
Sì, sì. Già li sento. "pdl e pdmenoelle sono la stessa cosa", "vergogna" e "vaffanculo". "Chi ti paga?" e altre amenità simili. Ma tutti gli insulti del mondo non cancelleranno la più grande occasione sprecata dell'Italia Repubblicana.

26.11.13

La sinistra superi il complesso di Caino

(Caino e Abele di Gaetano Gandolfi )

C 'è un passaggio del discorso di Matteo Renzi alla Convenzione del PD di Domenica scorsa che mi ronza in testa.
"Un leader", ha detto il sindaco di Firenze, "non crea seguaci ma altri leader. Liberiamoci dalla visione correntizia."
Quanto tempo era che non sentivo parlare in questi termini del problema della selezione del gruppo dirigente?
C'è stato un tempo, in Italia e nella sinistra italiana, in cui pensare ai dirigenti di domani, ai leader diremmo oggi, era all'ordine del giorno. Basti pensare alla storia del partito socialista e del partito comunista, dove i grandi dirigenti hanno sempre lavorato per assicurare la nascita e la crescita dei futuri gruppi dirigenti. Dopo Togliatti e Amendola sono venuti Napolitano e Berlinguer e poi Occhetto, D'Alema e Veltroni. Dopo Nenni, Pertini e Saragat sono venuti Mancini, Amato e Craxi.
Poi, ad un certo punto, quel processo si è interrotto, a partire dagli anni '80 le leadership della sinistra si sono occupate di preservare loro stesse anziché della loro successione. Al fianco dei leader, anzi, alle loro spalle, si sono affermati i cosiddetti delfini, sempre, immancabilmente, con qualcosa in meno rispetto al "capo". Così Martelli non era all'altezza di Craxi e, infatti, quest'ultimo precipitando agli inferi si è trascinato tutto il PSI. Così è accaduto nel PDS-DS, dove alle spalle del dualismo D'Alema-Veltroni c'era una classe dirigente ottima per i livelli locali (centinaia di sindaci) e per incarichi ministeriali (Fassino, Bersani) ma incapace di assumere su di sé le sorti del partito e, quindi della sinistra. I tentativi di qualcuno (Bassolino, Chiamparino, Cofferati) di assurgere a leader nazionale sono stati prontamente e scientificamente rintuzzati.
Negli ultimi 7 anni, dalla nascita del PD, il leader si è cercato tra le figure storiche (ancora Veltroni, Bersani), ma il tema della costruzione della leadership del futuro non è mai stata posto da nessuno. 
Anzi, figure emergenti del PD (il primo Renzi, Civati, Debora Serracchiani) sono state osteggiate e hanno dovuto affermarsi, nel loro ambito, in contrapposizione alla classe dirigente esistente. Leader nonostante il PD potremmo dire, parafrasando una celebre frase proprio di Debora Serracchiani.
Matteo Renzi, invece, alla vigilia delle primarie dell'8 dicembre, da leader in pectore del PD si pone già il problema della costruzione della nuova classe dirigente e se lo pone non in termini di potentato, di corrente, ma in termini positivi.
Non ha parlato di costruzione di una squadra di cui inevitabilmente sarebbe il capitano, ha parlato di leader che costruiscono altri leader, vale a dire potenziali competitors.
Un concetto rivoluzionario per la classe dirigente di sinistra dei nostri tempi, allevata dal padre al cui non ha mai osato ribellarsi ma pronta ad uccidere il fratello, potenziale competitor. Cambiare verso all'Italia, significa anche questo,  superare il complesso di Caino e pensare al futuro già a 38 anni, quando c'è ancora il presente da costruire. Senza, finalmente, paura della concorrenza.

20.11.13

Caso Cancellieri. Io la penso così.


Per me doveva dimettersi. Per Matteo Renzi anche. Per Cuperlo pure e persino per Civati.
Doveva dimettersi per buona parte dei parlamentari del PD.
Anna Maria Cancellieri, però, a dimettersi non ci pensa proprio.
Si sarebbe potuta votare una mozione di sfiducia individuale, visto che anche il M5S ne chiede le dimissioni.
Ma il Presidente del Consiglio Letta ieri si è presentato alla riunione di deputati e senatori e ha chiesto di non presentare alcuna mozione e di non votare quella del M5S. Lo ha fatto senza argomentare troppo. Anzi, senza argomentare affatto. Non ha nemmeno tentato una difesa della ministra. Ha detto solo "se sfiduciate lei, sfiduciate tutto il governo. Non ce lo possiamo permettere". 
I gruppi non se la sono sentita, quindi, di far cadere il governo.
L'attuale segretario del PD, Guglielmo Epifani, a quella riunione non c'è nemmeno andato.
Oggi tutti a dire che Renzi e Civati si sarebbero piegati.
Mi spiace, ma questa lettura è francamente inaccettabile. Né Matteo Renzi, né Cuperlo, né Civati sono segretari del PD. Renzi non è neppure in Parlamento. Chiedere a loro tre conto di questa scelta è davvero incomprensibile. 
Tutti a chiedere unità. Tutti contro le correnti e poi, alla prima occasione, tutti a chiedere che questo o quello (e i loro) votino diversamente da come si è deciso a maggioranza. Fatevi vedere da uno bravo.
Oggi ne sono più che mai convinto. Quello a cui abbiamo assistito è l'ennesimo colpo di teatro di un gruppo dirigente scollato dalla realtà e dal suo elettorato. Dall'8 dicembre si cambia registro. Si cambia verso.

19.11.13

Finalmente il PD e la sua gente vanno nello stessa direzione.

E' dal febbraio 2002, da quando Nanni Moretti urlò in piazza il suo sconcerto e la sua delusione dando le spalle a Fassino e Rutelli, che le strade del popolo di centrosinistra e dei suoi dirigenti si sono divise.
Ricordo altri momenti emblematici, come l'oceanica manifestazione del popolo dei girotondi a Roma il 14 settembre dello stesso anno. Ricordo il modo in cui gli elettori hanno sorpreso i partiti con la loro straordinaria partecipazione, prima per eleggere Prodi, poi per votare Veltroni e come si sono sentiti delusi quando il governo Prodi è caduto o, peggio, quando la sua candidatura alla Presidenza della Repubblica è stata bruciata in quel modo ignominioso.
Il momento peggiore di questa storia ultradecennale, secondo me, è stato ciò che è successo l'anno scorso alle primarie che hanno contrapposto Bersani a Matteo Renzi. 
Quel guazzabuglio di regole e paletti, di firme e dichiarazioni di intenti che il gruppo dirigente del PD inventò, circa 12 mesi fa, per limitare la partecipazione degli elettori, culminato nell'allontanamento dai seggi di quelli che volevano partecipare in occasione del secondo turno, è stata la rappresentazione plastica e impietosa di un distacco clamoroso.
Ho letto di recente un articolo di Ritanna Armeni, sul Foglio, che racconta benissimo un aspetto di questa divaricazione, quello tra la sinistra intesa come estabilishment e il popolo che la sinistra dovrebbe rappresentare. Armeni estremizza un po' gli esempi, ma sicuramente se pensiamo all'atteggiamento, al linguaggio, alla postura di D'Alema (per dire uno che rappresenta la sinistra in Italia da qualche lustro) e "quella famiglia che all’Autogrill si ingozza di panini, parla con un tono di voce insopportabile e non risparmia qualche scappellotto ai bambini", beh, è difficile immaginare due concetti più distanti.
Dopo la clamorosa sconfitta alle ultime elezioni del PD, dopo aver tergiversato per qualche mese, dopo aver ancora una volta discusso inspiegabilmente sulle regole, si è arrivati a queste benedette primarie e, forse, dopo oltre 10 anni, quella frattura tra gruppo dirigente e popolo di centrosinistra si è finalmente ricomposta.
Innanzitutto, va sottolineato che solo una delle quattro candidature, quella di Cuperlo, era diretta emanazione di un gruppo ben riconoscibile. Cuperlo viene dalla storia del PC, PDS, DS. Come D'Alema, Fassino, Veltroni e Bersani. Degli altri candidati, Pittella, coetaneo di Cuperlo, viene dal Partito Socialista, mentre Civati e Matteo Renzi sono di un'altra generazione.
In secondo luogo, dopo il primo voto, quello riservato agli iscritti e finalizzato a ridurre le candidature da quattro a tre, c'è stata la vera e propria notizia. Il più votato dagli iscritti è stato Matteo Renzi, quello che fino a poco tempo fa veniva visto come un infiltrato, un uomo di centro, se non di centrodestra.
Ed è stato votato con una percentuale alta, il 46,7%. Non la maggioranza assoluta, ma comunque una percentuale di tutto rispetto.
Per carità, questo voto ha aspetti controversi e Renzi lo sa benissimo. Ad andare al voto è stato un partito avvilito da mesi di lotte interne, che ha subito una vera e propria emorragia di iscritti nei 3 anni di segreteria Bersani. Un partito in cui le correnti hanno sclerotizzato la discussione e dal quale in molti sono stati allontanati. Tutto questo è talmente vero che da sempre Matteo Renzi insiste per cercare la legittimazione più ampia possibile, attraverso primarie aperte alla cittadinanza che, finalmente, si terranno l'8 dicembre.
E se l'8 dicembre Matteo Renzi avrà saputo catalizzare attorno a sé un consenso ampio, sia in percentuale che in termini di votanti, finalmente potremmo dire finita la dissociazione tra il PD ed il proprio elettorato che tanto ha nuociuto al centrosinistra e, di conseguenza, all'Italia intera.

18.11.13

Oggi più che mai c'è bisogno di mettere insieme la buona compagnia del PD

A notte inoltrata è ormai chiaro a tutti che Matteo Renzi è uscito vincitore, con circa 10 punti percentuali di vantaggio su Cuperlo, dalla tornata elettorale riservata agli iscritti per le convenzioni (caro Matteo, da segretario lavora anche per cambiare questo astruso regolamento).
La vittoria è arrivata dopo assurde e inutili polemiche sul tesseramento e dopo una incredibile querelle sui dati. Non riaprirò questo fronte, ma è pazzesco quello che è successo.
Ora sappiamo che Matteo Renzi è il candidato preferito anche dagli iscritti. Sono felice di questo dato che è il primo segno tangibile che si sta davvero cambiando verso. Eppure non basta. Per avviare sul serio il cambiamento del PD, del Governo e del Paese servono ancora 2 cose.
La prima: serve convincere il popolo delle primarie ad andare a votare l'8 dicembre. Non sarà facile, perché lo abbiamo ingannato e tradito quel popolo e, addirittura, l'ultima volta lo abbiamo allontanato dai nostri gazebo. Ma è necessario, perché un grande partito come il PD, alle prese con un rinnovamento epocale, ha bisogno di essere in sintonia con il proprio elettorato da subito. Serve la spinta propulsiva che solo i nostri elettori sanno dare.
La seconda: serve mettere insieme, a partire dal minuto successivo la proclamazione del nuovo segretario, quella che Francesco Nicodemo chiama da tempo la "Buona Compagnia" del PD. Ovvero quell'esercito di iscritti, elettori, amministratori e parlamentari che hanno voglia di mettersi in gioco per far ripartire il Paese. Lo dico da ora, quando l'8 dicembre è ancora lontano: nel nuovo PD ci sarà bisogno di tutti, a prescindere dal candidato segretario che si è sostenuto. Ci sarà bisogno innanzitutto dei 3 candidati che non avranno vinto.
Solo di qualcuno non ci sarà bisogno, di quelli che in questa campagna hanno avvelenato i pozzi.

14.11.13

7 motivi per cui scelgo Matteo Renzi



Per la mia storia, la mia formazione, le mie amicizie mi sento antropologicamente lontano da Matteo Renzi. Abbiamo la stessa età, ma mentre io occupavo la scuola ai tempi della Pantera lui andava in giro con gli Scout, mentre io andavo all'Istituto Italiano di Studi Filosofici a cercare di capire meglio quello che mi aveva insegnato il mio prof. di filosofia, lui andava alla Ruota della Fortuna. Non c'è, quindi, tra me e lui quel sentimento di appartenenza comune che lega talvolta chi ha la stessa età. Eppure oggi e, per la verità, già alle sciagurate primarie dell'anno scorso, sono un convinto sostenitore di Matteo. Anzi, credo che queste primarie del PD rappresentino uno di quei momenti di svolta, in cui la scelta fa veramente la differenza. Un po'come fu quando si scelse tra D'Alema e Veltroni, vi ricordate, il popolo dei fax, oggi sarebbe "la rete". Allora, sbagliando, tifai per D'Alema e quella scelta, a mio sommesso avviso, ci ha condannato a 20 anni di sconfitte e subalternità.
Oggi voto per Matteo Renzi:
1) perché il suo programma è la cosa più progressista e di sinistra che ci sia in Italia. Chi si contrappone a Matteo ha tendenze passatiste (Cuperlo) o fa parte della schiera di quelli (Civati) bravi a dire no, molto meno bravi a lavorare per un'alternativa possibile;
2) perché è un vincente. Si badi, vincente non vuol dire solo capace di vincere. Per me Matteo si è dimostrato vincente soprattutto quando ha perso. Non è caduto nella sindrome del "non mi hanno capito" o, peggio, del complottismo. Tanto per fare un esempio, l'altro giorno Bersani in Tv ancora dava le colpe della sua sconfitta elettorale al destino cinico e baro. Matteo no, eppure ne avrebbe avute di cose su cui recriminare. Dopo le primarie dell'anno scorso ha riconosciuto i meriti dell'avversario, l'ha sostenuto alle elezioni e poi ha guardato avanti;
3) perché parla in maniera schietta e diretta. Senza metafore e sottintesi. Dopo lustri durante i quali la sinistra è rimasta appesa ai sorrisini di D'Alema e ai tacchini di Bersani, non so voi, ma io non ne posso più. Ho un disperato bisogno di un leader che si sappia esprimere nella maniera più chiara possibile. Così magari torniamo a farci capire e votare anche da quelli che hanno studiato di meno e che da 20 anni votano Berlusconi e la Lega;
4) perché è un uomo dei tempi che viviamo, che sa usare la tecnologia e ne capisce le potenzialità per migliorare la nostra vita. D'Alema fa il sarcastico, tanto per cambiare, quando vede Matteo Renzi che risponde in diretta su Twitter agli elettori. "Non abbiamo bisogno di un dattilografo" dice. Ecco, noi perdiamo da 20 anni anche perché siamo stati guidati da gente che scambia Twitter  per una macchina da scrivere;
5) perché parla con tutti e lo fa in maniera cristallina. Chi si candida a governare un Paese deve saper avere a che fare anche con imprenditori e finanzieri. La differenza tra Matteo Renzi e quelli che lo hanno preceduto è che per sapere cosa dice Serra ci basta andare alla Leopolda, per sapere cosa dicevano Consorte e i vertici Mps abbiamo dovuto aspettare le intercettazioni. Non è poco;
6) perché in questi 20 anni di sconfitte lui non c'entra niente;
7) perché ha ragione De Benedetti, l'unica speranza che abbiamo è saltare una generazione. Con tutte le eccezioni ed i distinguo è arrivato il momento in cui i nati dagli anni '70 in poi devono prendere in mano il Paese. Io ci credo.

5.11.13

Quei cialtroni che si spacciavano per efficienti. Il sacco dell'Aquila.


Mentre impazza il dibattito sulle telefonate della Cancellieri, arriva una di quelle notizie sulle quali ci sarebbe da discutere per parecchio tempo.
E' stato reso noto il report di Soren Sondergaard, membro della Cont, la commissione di controllo del bilancio di Bruxelles, sulla situazione dell'Aquila a quattro anni dal terremoto che verrà discusso dopodomani in parlamento.
Nel documento a farla da padrona sono parole come sprechi, abusi, mafia. La Corte dei Conti Europea è impietosa nel certificare le cifre di un fallimento politico e amministrativo.
Ma il dato su cui vorrei soffermarmi è quello relativo alla contrapposizione tra "efficienza" e "burocrazia" che divenne il mantra di Berlusconi e Bertolaso nel post terremoto.
Ce lo ricordiamo tutti Bertolaso con le sue felpine ed i suoi giubotti della Protezione Civile che ci spiegava, dagli schermi televisivi, la sua idea di efficienza, fondata su prerogative da commissario straordinario? Ci ricordiamo Berlusconi che dettava le sue priorità, cambiava le procedure, spostava il vertice del G8 dalla Maddalena all'Aquila?
Il progetto C.A.S.E., la "new town"? E ci ricordiamo con quale disprezzo venivano trattati gli abitanti dell'Aquila che per qualche giorno divennero "il popolo delle carriole" perché con mezzi rudimentali andavano nel centro devastato, la cosiddetta zona rossa, a togliere macerie.
Bene, il report di Sondergaard oggi ci dice, in aggiunta a tutto ciò che sapevamo già, che quelle idee e quelle procedure erano anche inefficienti, costose e che la deroga alle procedure ordinarie ha consentito alla criminalità di entrare nella edificazione dei prefabbricati. Come sempre, poi, quando di mezzo c'è la criminalità, i prezzi sono lievitati (+158% dice il commissario) ed i materiali sono di scarsa qualità, tant'è che in qualche caso la magistratura ha dovuto sequestrare gli edifici.
Quello che è successo all'Aquila, quando, come ha accertato la magistratura in primo grado, persino il deliberato della Commissione Grandi Rischi dovette piegarsi alla operazione mediatica che Governo e Protezione Civile avevano messo in piedi, è la dimostrazione che abolendo "lacci e lacciuoli" sic et simpliciter non si fa altro che dare via libera ad affaristi, cialtroni e speculatori. Quelli che ridevano dentro al letto, mentre all'Aquila si moriva sotto le macerie, non avevano la preoccupazione di seguire una procedura, vincere un appalto, "tenere le carte a posto". Certo, le procedure e la burocrazia non hanno sempre impedito latrocini e ruberie, ma non è sostituendo le cialtronerie alle lungaggini che questo Paese può fare passi in avanti.
Impariamo, da tutto ciò, a diffidare dai collegamenti con le "sale operative" piene di gente che guarda monitor. Se proprio dobbiamo scegliere un modello, allora preferisco quello dei vigili del fuoco, un corpo efficiente e onnipresente, lontano dai riflettori e dalle sirene dei talk show, refrattario a scandali e corruzioni. Al quale, ovviamente, si continuano a tagliare fondi

4.11.13

La bufala corre sul web. Sulla pelle delle donne. (Terragni e Ravera mentono su Renzi)

Chi bazzica internet lo sa o dovrebbe saperlo, ci sono falsità, verità parziali, invenzioni o vere e proprie bufale che rimbalzano da un sito all'altro e che non riescono a fermarsi.
In Italia c'è chi, come Paolo Attivissimo, si dedica quotidianamente allo smascheramento di questi fenomeni.
In molti casi si tratta di leggende metropolitane, ma alle volte ci troviamo davanti a vere e proprie campagne di disinformazione. Come nel caso di cui voglio scrivere oggi.
Si tratta della delibera concernente il nuovo Regolamento di Polizia Mortuaria.
La questione diventerà, tra l'altro, anche il fondamento dell'ennesima querelle tra Civati e Renzi (per saperne di più sui rapporti tra Terragni e Civati date uno sguardo qui).
Della questione si sono anche occupati, in ordine sparso, il Fatto Quotidiano, Gad Lerner e Lidia Ravera.
Le cronache ci restituiscono un Renzi indignato per le polemiche.
Ma veniamo al dunque. Di che stiamo parlando?
A leggere i post di Terragni e Ravera sembra che a Firenze si sia approvata una delibera contro la l.194 sull'interruzione di gravidanza.
E invece, facendo un minuto e mezzo di ricerca su internet, scopriamo che:
Il D.P.R. 21 ottobre 1975, n°803, intitolato "Regolamento di Polizia Mortuaria", stabiliva, all’articolo 7, che "su richiesta dei genitori il seppellimento anche dei prodotti di concepimento abortivi di presunta età inferiore alle venti settimane".
Avete letto bene, 1975. Già, proprio l'anno di nascita di Renzi.
Nel 1990 il DPR 803/75 viene sostituito dal DPR 10 settembre 1990, n. 285, il cui art. 7 stabilisce che
"comma 2: Per la sepoltura dei prodotti abortivi di presunta eta' di
gestazione dalle 20 alle 28 settimane complete e dei feti che abbiano presumibilmente compiuto 28 settimane di età intrauterina e che all'ufficiale di stato civile non siano stati dichiarati come nati morti, i permessi di trasporto e di seppellimento sono rilasciati dall'unità sanitaria locale.
Comma 3. A richiesta dei genitori, nel cimitero possono essere raccolti con la stessa procedura anche prodotti del concepimento di presunta età inferiore alle 20 settimane.
Comma 4. Nei casi previsti dai commi 2 e 3, i parenti o chi per essi sono tenuti a presentare, entro 24 ore dall'espulsione od estrazione del feto, domanda di seppellimento alla unità sanitaria locale accompagnata da certificato medico che indichi la presunta età di gestazione ed il peso del feto.
Dunque, i nati morti e gli abortiti possono essere, su richiesta dei genitori, seppelliti.
E vorrei vedere, aggiungo io. Ci mancherebbe che un paese civile imponesse di non seppellire il "prodotto di un concepimento", come recita con dicitura molto asettica la norma.
E allora? Quale sarebbe la colpa di cui si è macchiato Renzi agli occhi delle pasdaran Terragni e Ravera? Proprio non si capisce.
La Terragni pone una domanda "In effetti, essendoci già una legge che regola chiaramente la materia, non si comprende la necessità di un richiamo dettagliato in una delibera comunale: a che cosa serve ribadire?". A questa domanda potrebbe rispondere un qualunque cittadino che abbia una minimale conoscenza dell'amministrazione. Cara Terragni, non si tratta di ribadire, ma di regolamentare. Tutte le leggi che hanno bisogno di una procedura attuativa vengono recepite da atti amministrativi. Come anche tu avrai potuto notare, nella legge si parla di domande e di certificati. C'è bisogno di una delibera per stabilire a chi vanno presentate quelle domande, come, quando, chi è il responsabile del procedimento. Nella delibera, inoltre, bisogna individuare dove si effettua la sepoltura, con quali modalità, a quali condizioni. Cara Terragni e cara Ravera, è la normalissima prassi amministrativa.
Come ha spiegato Renzi, "Dal 1996 ad oggi 1019 feti sono stati seppelliti nella città di Firenze, è stata semplicemente recepita in un regolamento di polizia mortuaria che non veniva rinnovato dal 1969 e che quindi non prevedeva questo tipo di interventi".
Tutto semplice, no?
No, a quanto pare.
Ora, io voglio dire una cosa e la voglio dire chiaramente.
Una cosa è la politica, una cosa sono le panzane. Una cosa è criticare le idee, un'altra cosa è diffondere notizie false per screditare il prossimo.
Sono agnostico da sempre e credo che nessuno possa accusarmi di clericalesimo, perciò posso dire senza tema di smentita che:
1) l'attribuzione di Terragni e Ravera alla Giunta di Firenze di propositi contrari allo spirito della l. 194, basandosi sulla delibera in questione, non sta né in cielo né in terra.
2) nel merito, impedire a chi abortisca di seppellire il proprio figlio non nato è un pensiero di una barbarie assoluta. Chi lo sostiene e scrive dovrebbe vergognarsi.
3) mentre Terragni e Ravera sproloquiano di aborti e procedure di sepoltura, il mio pensiero va alle migliaia di donne che affrontano l'interruzione di gravidanza tra infinite tribolazioni interiori. Nello spirito della l.194, più volte evocato, credo ci sia soprattutto il rispetto per chi vive una scelta simile. Rispetto che in certe polemiche, proprio non vedo.

Aggiornamento

Oggi, 6 novembre, registro le parole di Cristina Giachi, Assessore all'Educazione, Fondi Europei, Università, Ricerca, Politiche Giovanili, Pari Opportunità del Comune di Firenze, che su Facebook scrive:
"Credo che si sia verificato un caso di disinformazione.A Firenze non abbiamo istituito nulla, solo recepito la legge attraverso il regolamento cimiteriale, come accade in altre città, proprio per evitare vuoti regolamentari che mettono il cittadino in difficoltà. Se una donna vuole seppellire il suo feto, come amministrazione, che le dici? "Non c'è il regolamento?" E delle più di mille sepolture già presenti nei nostri cimiteri che vogliamo dire? se non attuassimo la legge, allora sì che a quel punto si creerebbe lo spazio per le reazioni delle associazioni prolife e antiabortive. Ma se regoli in modo civile la legge e attui il regolamento è solo un fatto di civiltà: per assicurare la libertà a ciascuna donna di decidere in autonomia. Posto che io per prima a una donna, su un tema così doloroso e personale, non mi permetterei mai e poi mai di vietare nulla, proprio nello spirito della legge 194"
Spero che queste parole servano a segnare la fine di una polemica inutile, pretestuosa e irrispettosa del dolore e dei sentimenti di tante donne.

Aggiornamento #2 

7.11.13 Dal loro sito web Claudia Ravaldi e Alfredo Vannacci (che aveva già commentato questo post) dell'associazione "Ciao Lapo" chiedono le dimissioni di Lidia Ravera dalla carica di assessore alla cultura della Regione Lazio.
Qui il testo completo della lettera aperta che hanno indirizzato a Nicola Zingaretti.

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